Forse Leopardi compose a Firenze, nel 1832, l’operetta morale intitolata “Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere”, breve, fitta di domande e risposte, martellante e che così comincia: “Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?” “Almanacchi per l’anno nuovo?” “Si Signore.” “Credete che sarà felice quest’anno nuovo?” “Oh illustrissimo sì, certo.” Lo scorcio di via dove avviene l’incontro potrebbe essere ogni luogo e, per la sua essenziale intensità venata di ironia, appartenere ad ogni tempo proprio perché tocca un tema comune: la domanda sul tempo che sarà, oltre la superstizione del nuovo anno e degli auguri che sembrano vertiginosamente aumentare con il livello dell’insicurezza individuale e collettiva. Più si muovono passi incerti e più si chiedono garanzie. Ciò che sta nel cuore dell’attesa è la speranza che l’anno che viene sia migliore di quello passato. Nel dialogo di Leopardi c’è una battuta luminosa che potrebbe bastar per tutti e a tutti rispondere: chiede il Passeggere: “Oh che vita vorreste voi dunque?” Risponde il Venditore: “Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.” In quel grano d’argento è compresa la verità elementare: “una vita così”. Se ci pensiamo davvero, se usciamo dalla vertigine di questi ultimi giorni, dalla giostra di acquisti, regali, stanchezza, ansia, da tutto l’esteriore che ha segnato il natale e vena le ore della vigilia che precedono la notte di San Silvestro e il quasi obbligo a dover essere da qualche parte e a doversi per forza divertire tentando la via strana ed insolita, il viaggio all’ultimo minuto, la spiaggia esotica, l’affollata montagna di neve artificiale, se pensiamo davvero a tutto questo, forse ci accorgiamo che “una vita così”, magari a due passi da casa, in questa Marca di misura e di delizie, potrebbe offrire un altro senso alle derive un po’ perdute ed effimere dove accompagniamo quel vago vento d’insoddisfazione che spira sulla vita di ognuno, quell’infelicità che abita gli anni attraversati e a cui (sempre secondo Leopardi) non vorremmo somigliasse l’anno nuovo, salvo qualche stagione dell’infanzia lontana. Penso che il passare del tempo sia doloroso e naturale per tutti e che la vita che va via sia malinconia e struggimento; tentiamo, come possiamo, di rallentare o accelerare il precipizio dei minuti fuggendo, nascondendoci, dimenticando, stordendoci. Ne La voce della luna” di Federico Fellini, dopo la che luna stessa è stata catturata e in paese si è organizzata una terribile e ridicola tavola rotonda televisiva, Salvini (Roberto Benigni) dice: “Se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse potremmo capire”. Credo sia questo il momento da non lasciar passare per correre il rischio del silenzio, per azzardare una sorta di controcorrente che interrompa la follia dell’epoca e tenti di riaffidarci ad una coscienza civile e morale che sembra allontanarsi e scomparire giorno dopo giorno con l’avanzare dell’arroganza e della quotidiana violenza, della prevaricazione. Lo sguardo orientale e bianco della Cattedrale di San Ciriaco, dal Guasco, è, per Ancona, l’insegna millenaria più alta di dignità, misura e fermezza e vale come concreto viatico d’anno per gli uomini che non offendono e non si impossessano di nulla.