… ora, come tua lettrice, provo a immaginarti, in fondo, “tutto sommato” (è il principio di un tuo lontano verso… !) il tempo ci ha reso ‘destinalmente’ lontani, ed io non riesco ormai più a distinguere i tratti del tuo volto, se non da una ormai sfocata fotografia che ci ritrae insieme, tenuti uniti paternamente da grandi infinite braccia: la Poesia, il Maestro, FrancoScataglini!

Bene, ma ora che sono qui, a parlare di te, so con certezza che ti sei sciolto, con pacatezza, gentilezza, con elegante modestia, da quella nostra intima ‘residenza’.

Avviene ormai di rado di proteggere, amare contemporaneamente nello stesso corpo due significanti: il soggetto che scrive, la sua scrittura, e l’immagine privata. Quando accade, la coincidenza, allora si è amati per quello che si è. Ma quasi mai ‘prima’, nel contempo, ‘Tutto sommato’ dopo … !

Ed è proprio questo che nel vivere, è sofferenza e si resta ‘serrati’ in queste tue ‘serre silenziose’, nel tuo prato bianco, nei tuoi campi di neve, con appena poche tracce, orme, passi segnati!

E’ dunque una fotografia la nostra Storia ma anche la nostra ferita che ‘silenziosamente’ ci ha narrato e, nel desiderio, come un punctum, continua ad avvenire, a venire a noi, ci avviene; è stata ed è e sarà aldilà di tutti noi la nostra ‘residenziale’ avventura, essa ci anima, io la animo: la fascinazione, l’attrattiva che la fa ancora esistere, una animazione! E mentre ne sono spettatrice, ne vengo ferita. E’ la nostra ferita che si rimargina e si riapre ‘pateticamente’, perché non diventi cicatrice, segno. E’ una ferita vivente, perché la pelle che si chiude e si schiude, non smette mai di essere ciò che al tempo divide e unisce l’uomo con il mondo

ma tu, amico mio,

con il tuo libro

dell’ombra sai

poeticamente

con garbo e con misura

‘portare in salvo

dal freddo le parole’

nei tuoi versi

su un prato bianco.

C’è, nel luogo che lasci, / quando parti, / una tranquilla / carità di sguardi.

Mi confessi che tremi ed hai paura

che il tuo libro si sfarini sotto le dita, che se ne vada come i bastoncini dello shangai, come aghi.

Mi confessi che sei nel più completo vuoto ma, forse, quelle infinite forti braccia ci hanno insegnato che

‘nell’ora di un giorno feriale

seduti di spalle al vuoto

tra la terra e il cielo

e non lontano l’ombra della morte –

“Tutto sommato

quello che resta è poco,

il resto va,

polvere di ogni vivo,

quel di più che non giunge

a perfezione alcuna”.

Katia

[Fano, 9 giugno 2021, Ricordando Francesco Scarabicchi, incontro organizzato da ‘Università dei Saperi’]

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