Una luce mi segna
e mi abbraccia,
una voce dalla memoria
sui muri, nelle strade vibra;
tramutata in gioia si alza,
sorpresa da una lacrima
la luce del giorno fissa
l’incontro dei pensieri.
Lì sono io
– non in questa vita –
nella stanza scavata in un canto
dove il nostro dolore si commuove,
dove non dimentico
– nell’ombra, dietro i vetri –
il tremito delle foglie,
la dolcezza del vento;
dove incontro
il moto di un riflesso
scritto sull’acqua di un ricordo
che mi piange dentro.
*
Il cacciatore umano
ha stretto l’orizzonte.
I cieli erano colmi
di pietre e amore.
La pianta del recinto sacro
aspetta l’acqua e la luce dell’ombra.
La conoscenza di sé si distrae.
Avara è l’anima senza dolcezza.
L’amore separa le parole
dal possesso di sé.
Nella vertigine del grande buio
nel vertice puro del canto,
mi aggrappo alla tua vita.
*
A mia figlia,
che ha scritto con me questi versi
ai tempi del coronavirus.
Non abituarti mai alla morte…
Tu sei viva
e ciò che salva la vita
non è soggetto a un virus.
Rinchiusi nelle case
delle nostre menti
imploriamo di respirare
aria fresca.
Imprigionati, non rinunciamo
a ciò che resta.
La mascherina copre il tuo viso,
ma i tuoi occhi io li vedo.
Non rinuncio a ciò che resta.
Tanti sono morti,
ma c’è tanto nel mondo che non muore…
Oggi il mio abbraccio è amarti.
Oggi il tuo abbraccio è sentirmi amato.
Ciò che salva la vita
non è soggetto a un virus…
(aprile 2020)