Letture

Sulle orme del naturalista Domenico Matteucci

 

 

 

Sul web mi sono imbattuto nel Bollettino della Società Botanica Italiana del 1893. Il bollettino riporta una memoria del socio Domenico Matteucci avente per titolo “Il Monte Nerone e la sua flora”.

Indago sull’autore.

Domenico Matteucci nacque ad Apecchio il giorno di Natale del 1854; dopo avere conseguito a Napoli, nel 1879, la laurea in Scienze naturali, nel 1887 ottenne la cattedra di Storia naturale nel Ginnasio-Liceo di Jesi. Qui realizzò un gabinetto scientifico che arricchì di collezioni di Botanica, Zoologia, Mineralogia, Litologia, Paleontologia.

Nel 1902 fu tra i fondatori del Club Escursionisti di Jesi, del quale divenne poi presidente. Il Club si proponeva “di conoscere e far conoscere, sotto tutti gli aspetti, i monti, con particolare riguardo a quelli dell’Appennino settentrionale e centrale, e di stimolare lo studio delle regioni montuose”.

Nel 1904 iniziò la pubblicazione della rivista  “L’Appennino Centrale”, bollettino ufficiale del Club. Dal 1907 la direzione della rivista fu assunta da Domenico Matteucci; andò avanti  fino al 1911, anno in cui il Club Escursionisti di Jesi cessò di esistere.

Domenico Matteucci morì a Pesaro nel 1947.

Nella prima parte de  “Il Monte Nerone e la sua flora” l’Autore indicava come raggiungere la vetta del Monte dai diversi paesi che si trovano alla sua base: Piobbico, Cagli e Apecchio.

I numerosi riferimenti topografici contenuti nella monografia dimostrano che Matteucci aveva visitato un po’ tutti i versanti del monte: erano citati Piobbico, la chiesa di S. Maria (in Val d’Abisso), Pieia, M. Carpineto, ecc.

Mi concentro sul percorso che partiva da Apecchio, il paese natale dell’Autore  – non a caso nella monografia definito “ridente paesello”.

“Da Apecchio, ridente paesello a 373 m. sul livello del mare […], si giunge alla vetta principale del monte in tre ore circa valicando a schiena di mulo di asino i colli subappennini delle Ciocche, delle Serre e del Gallinaccio. Arrivati in Pian di Trebbio…”.

Basandomi su questo testo, sulla cartina escursionistica e su una vecchia carta topografica, ho cercato di  stabilire il percorso compiuto da Matteucci a cavalcioni di un mulo e con il materiale necessario per erborizzare dentro ad una sacca appesa alla sella.

Diversi riferimenti topografici citati da Matteucci ci sono ancora. Pianifico le mie prossime uscite decidendo di ripercorrere le vie utilizzate dal naturalista nato un secolo prima di me, sforzandomi di immaginare come era quel territorio nella seconda metà dell’Ottocento e cercando di ignorare le trasformazioni moderne (l’asfalto sulle strade provinciali e le case moderne).

3 giugno 2017

Percorro in auto la strada provinciale che unisce Apecchio a Pian di Trebbio passando per Acquapartita.

Sono zone fuori mano, tra la valle e la montagna, fuori dalle vie di traffico.

Risalendo i tornanti, cerco di escludere le moderne costruzioni della periferia di Apecchio, ecco che appare la visione del centro storico del “ridente paesello” apparsa a Matteucci mentre risaliva quel colle a dorso di mulo.

Arrivo alle Ciocche. Nei pressi dell’omonimo ristorante c’è una piccola cappella. Una data, che mal si legge sull’ingresso chiuso da un’inferriata, dimostra che quell’edificio religioso era già presente a quei tempi. Si trova nel crocevia tra la provinciale e la strada poderale che passa per Ghisantelli. Non so se Matteucci abbia seguito quest’ultima o il vecchio tracciato su cui, più o meno fedelmente, è stata realizzata la strada provinciale, comunque egli passò accanto alla cappella.

All’epoca di Matteucci, dal Gallinaccio – da lui citato – si poteva giungere a Trebbio seguendo due carrarecce che portavano entrambe a Fonticella, una passando per Lucaraia, l’altra attraversando il Bosco della Mercareccia; oppure si poteva raggiungere Pian di Trebbio attraversando il Bosco della Brugnola – mi riprometto di svolgere quest’ultimo percorso la prossima volta.

Lascio l’auto e percorro un sentiero che inizia in un tornante poco sopra Pian di Trebbio. Il bosco è una cerreta ma vi è pure qualche raro castagno.

Raggiungo Fonticella. Quel poco che resta della casa è avvolto dalla vegetazione. L’origine del nome si coglie dal prato posto tra il rudere e una capanna, è intriso d’acqua e con profonde pozze. Chissà se Domenico Matteucci, passando per Fonticella, abbia fatto abbeverare il mulo a quella fonte?

Raggiungo un’altra casa abbandonata – la carta topografica non ne riporta il nome – e poi Lucaraia, un edificio ristrutturato e trasformato in un agriturismo.

Tornato a Pian di Trebbio, visito la cappella citata da Matteucci: “Arrivati in Pian di Trebbio, si può ascendere il monte per la strada detta del Ranco e di Collelungo voltando a sinistra di una piccola Cappella chiamata Maestade o per quella detta del Monte o dei Campitelli, proseguendo per Serravalle villaggio situato alle falde del monte in parola. ”

Mentre la piccola cappella delle Ciocche ha solo un inginocchiatoio, questa è una vera chiesetta.

Mi lascia perplesso l’epigrafe posta sopra l’ingresso: “Ave Maria vincitrice del Lupo e del nero Abissino – 1936 – Don Domenico Remedia”.

Per quanto riguarda il Lupo, colgo nel religioso firmatario dell’epigrafe un approccio diverso da quello di San Francesco.

Per non parlare della necessità di scomodare la Madonna per vincere il “nero Abissino”, che prima dell’arrivo dell’esercito italiano se ne stava più o meno in pace a casa sua.

Il perché di quei due riferimenti (al Lupo e al nero Abissino) li scopro leggendo un foglio dattiloscritto incorniciato ed appeso all’interno della chiesetta.

E’ la: “Breve notizia storica di questa chiesetta di Pian di Trebbio detta la Maestà” scritta da Edmondo Lucchetti, priore della Confraternita SS Sacramento e del Rosario di Serravalle di Carda:

“Narra la leggenda che in anni a noi remoti trovandosi a passare notte tempo per questo luogo allora disabitato e ricoperto da boschi, un uomo si salvò miracolosamente da un branco di lupi riuscendo ad arrampicarsi su di un cerro. Grato alla Madonna per avergli salvato la vita vi costruì una piccola edicola ex-voto in ringraziamento.

Venne questa più tardi ingrandita…”.

Quando Matteucci  passò accanto alla chiesetta per risalire quel versante del Monte, gli si parò davanti un edificio religioso in pessime condizioni, infatti, la nota storica riporta che l’anno seguente alla pubblicazione dello scritto di Matteucci: “… la sera del 23 settembre 1894 adunatisi tutti i Camerlenghi di questa Venerabile Confraternita decisero di restaurarla in quanto era decadente e pericolosa per tutti i fedeli che ci si recavano a fare orazioni…”.

Don Domenico Remedia, il pievano di Serravalle che commissionò i lavori l’anno successivo, doveva essere allora un giovane sacerdote, visto che è lo stesso che oltre quaranta anni dopo, nel 1936,  fece porre la lapide sopra la porta d’ingresso per ricordare la vittoria delle truppe italiane sull’Abissinia.

 

(Continua…)

 

Didascale foto:

1 – Apecchio

2 – La cappella presso Le Ciocche

3 – Lucaraia

4 e 5 – La Maestà di Pian di Trebbio

 

 

 

 

 

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