“Una strada bianca con un’infinità di piccole buche che si riempivano di pioggia, una schiena butterata che al disgelo si ammolliva come burro […]. Le strade sterrate non erano più di moda. Appartenevano al passato, al tempo in cui i nostri genitori erano nati ma che volevano lasciarsi alle spalle una volta per tutte.”

Mikael Niemi, Musica rock da Vittula

Avevo partecipato alla lunga passeggiata organizzata nel territorio di Montelabbate (PU) lo scorso novembre, iniziata dopo pranzo e terminata quando il buio era già calato. Durante una tappa, la guida aveva illustrato al folto gruppo di partecipanti l’importanza storica della strada su cui ci trovavamo. Via Castello Farneto era una diramazione della Via Flaminia, nell’Alto Medioevo i pellegrini utilizzavano quel tracciato secondario che univa le chiese di Fossombrone, Monteguiduccio e Montegaudio, alla Pieve di Case Bruciate (distrutta completamente durante la Seconda Guerra Mondiale, in quanto si trovava lungo la Linea Gotica) e alla Chiesa di Colombarone.

L’altra guida, un geologo, aggiunse un suo cruccio: «Peccato che questa strada sia stata asfaltata; se fossimo in Toscana avrebbero evitato di farlo. Loro ci tengono alla conservazione del paesaggio.»

«Vallo a dire a chi abita in questa strada!» intervenne un partecipante, evidentemente al corrente delle dinamiche tra cittadini ed amministratori pubblici.

«Tra l’altro, le strade bianche sono più facili da mantenere di quelle asfaltate» concluse il geologo.

Strade bianche. Quelle che in tanti disprezzano per la polvere alzata, per il fango che inzacchera le carrozzerie dell’auto, io le vado a cercare inoltrandomi tra le colline che cingono la Vallata del Metauro – d’altra parte la mia auto non ha nulla da temere: è perennemente impolverata ed infangata.

Su queste strade sterrate, prive di pavimentazione, fino ad una decina di anni fa ci transitavo in bicicletta. Ora le percorro a piedi, insieme a mia moglie.

Prima di effettuarli, studio i percorsi su una cartina consumata dall’uso e pesantemente “restaurata” con del nastro adesivo. Quando posso, cerco di compiere un anello, per farlo spesso ci inoltriamo in strade che non sono neppure sterrate, ma dei sentieri riconoscibili dai campi circostanti solo per il fondo erboso o per i segni lasciati dai cingoli dei trattori.

Le case ai bordi di queste strade o poco discoste da esse, dove la gente abitava sono da tempo abbandonate. A volte le strutture reggono ancora e sono diventate depositi e rimesse per i mezzi agricoli, altre volte sono ruderi, con il tetto crollato e le scale sconnesse. 

In alcuni casi restano solo macerie che spuntano tra la vegetazione che le avvolge; spesso la strada che conduceva ad esse non esiste più. 

A trovarsi dispersi nei campi capita anche a querce e filari di gelsi; quegli alberi, che un tempo fornivano ghiande per i maiali e foglie per nutrire i bachi da seta, hanno perduto la loro funzione, ora sono solo ostacoli alla lavorazione della terra.

Salvo qualche raro gruppo di ciclisti in mountain bike incrociati nei week end, queste strade sono deserte. Ci inoltriamo in una campagna silenziosa; a volte a rompere il silenzio durante il nostro lento camminare sono lo sferragliare dei cingoli di un trattore che sta lavorando la terra o l’abbaiare di un cane o il canto di qualche raro gallo. Non giungono fin qui i rumori dei copertoni che corrono sull’asfalto. 

Sicuramente quando (negli anni ‘60) a scuola mi spiegavano che al mondo c’erano 3,5 miliardi di persone queste campagne erano ben più popolate di oggi. Secondo quanto riportato dal contatore del sito Neodemos, nel gennaio 2022 la popolazione mondiale ha superato gli 8 miliardi di persone; ma lo sciame umano inonda altre parti, quella marea monta in altre direzioni, non qui. 

Didascalie foto:

1 – Valle Buzza (Fano)

2 e 3 – Monteschiantello (Fano)

4 – Filari di Gelso nei dintorni di Cerasa (San Costanzo)

5 – Piaggiolino (San Costanzo)

6 – Valle del Fosso dell’Acqua salata (San Costanzo)

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