Poi Carrère si è convertito all’autobiografia …
Da L’Avversario in poi le vite che non sono la sua e quella che è sua si intersecano e si confrontano nelle trame narrative. Ad un certo punto, insomma, le opere di Emmanuel Carrère rappresentano una necessità fisiologica di verità che ha bisogno di sé stesso come testimone. Restano evidenti i caratteri ereditari del genere romanzo, ma coinvolgono spudoratamente l’autore tra i personaggi, sembra quasi che i personaggi abbiano finalmente trovato l’autore e discutano con lui le trame e i significati dell’opera. Anche l’autore ha bisogno dei personaggi per cercare di comprendere sé stesso. C’è questa evidente necessità, propria delle confessioni e della saggistica, del diario di lavoro e generi affini, che Carrère inserisce nel romanzo (se è ancora un romanzo) e tutto ruota attorno ai riflessi dei fatti sulla sua coscienza e fin dove è possibile anche sul suo inconscio. La verbalizzazione non è facile quando c’è in gioco il narcisismo (consapevolmente controllato) e soprattutto il cinema, l’effetto cinematografico (falsità allo stato puro, patologica). Non è facile e non sempre riesce bene, ma Il Regno, pubblicato nel 2014 in Francia e nel gennaio 2015 in Italia, per quello che può valere un’opinione di lettore, mi sembra un approdo felice sotto ogni aspetto, e anche notevole. Non so perché. Forse perché si interroga sulle ragioni profonde dell’esistenza e sulla nascita di una religione, partendo dalla sua personale esperienza di abbandono alla fede e abbandono della fede, forse perché il continuo andirivieni tra le vicende del primo secolo, dopo la morte di Cristo, e le vicende di duemila anni dopo mostrano un legame lunghissimo e ormai fragilissimo, forse perché si tratta di una narrazione onesta, e un confronto sincero, senza esclusione di colpi, rispettoso e crudo, tra chi continua a subire il fascino di un gesto umile come quello di lavare i piedi a un’altra persona sebbene si senta fuori da quella comunità, e nello stesso tempo è dolcemente scettico, più che verso le rivelazioni verso le narrazioni collettive. In effetti Carrère rilegge i testi sacri da romanziere: “sono uno scrittore che cerca di capire come ha proceduto un altro scrittore”, che in questo caso è Luca, l’autore macedone di uno dei Vangeli. E’ un po’ cinematografico l’inizio de Il Regno, con il racconto della sua conversione come risposta a una crisi depressiva, e anche la conclusione, che descrive questa pratica di lavare i piedi al prossimo, una pratica che avrebbe potuto sostituire l’Eucarestia, e forse la religione cristiana ne avrebbe guadagnato: meno teologia, più umanità. Ma tutto tiene, nel libro. Il racconto è spesso sorprendente. Nonostante il disincanto, Carrère da che parte sta? Non lo sa neanche lui, e lo dice, perché la conclusione è appunto: non lo so. Sta nella sua precarietà, di uomo, di scrittore, e in questo caso anche di lettore.
Emmanuel Carrère, Il Regno. Adelphi 2015. 428 p. Euro 22