Dopo il suo trionfo, in questa epoca triste (e un po’ drogata), la civiltà liberale è solita trasfigurare e, in
alcuni casi, imbellettare vocaboli di uso comune, un po’ come accade in 1984 di Orwell, per affermare e
veicolare significati completamente altri rispetto a quelli correnti maturati magari da decenni se non da
secoli facendo nascere così un nuovo lessico della finzione per stupire e soggiogare i servi reali e
potenziali in modo che si abituino, attraverso l’uso corrente del vecchio linguaggio, ai nuovi significati
portatori di nuove emozioni e, soprattutto, di vecchie sottomissioni.
Alcuni esempi:
bellezza. Termine inflazionato teso a frastornare la capacità di giudizio dell’osservatore. Secondo i cantori
del presente la principale finalità di questa epoca è la ricerca della “bellezza”, categoria spesso abusata per
oggetti o situazioni, pur pregevoli, che però in un passato, anche recente, rappresentavano semplicemente
la norma per la quale non esisteva alcuna forma di esaltazione. In realtà non esiste epoca così inflazionata
di brutture come la nostra. A partire dal consumo culturale tutto è ormai banalizzato e ridotto a merce
emozionale. Si, bellezza per coprire un mondo che fa veramente schifo.
cambiamento. Trasformazione di sola superficie o, meglio ancora, maquillage o, se si preferisce, cosmesi
della realtà. In uso soprattutto in ambito politico (e sociale) per giustificare il progressivo adattamento del
pensiero alle coordinate imposte dal mercato, dalla produzione e dal consumo. Luogo mitico in cui la
trasformazione (economica, sociale, etc.) viene imposta a tutti i refrattari alla dittatura del presente e
subita dai potenziali nuovi schiavi nel nome delle impellenti necessità del progresso, dell’innovazione e
dello sviluppo.
classe media. Quella che un tempo era la classe antagonista per eccellenza all’ordine esistente – la classe
operaia – in quanto classe sociale contrapposta alla classe dominante, una volta cancellata definitivamente
dalle mappe civili della modernità liberale, la si fa sparire pure dal linguaggio corrente e la si sussume,
anche per annacquarne di molto le sue potenzialità di contrasto allo status quo, in una indistinta classe
media dove – ecco la mistificazione – l’intendimento è quello di far credere che essa sia tutt’uno, in
termini di interessi e valori, con componenti sociali di ben altra consistenza reddituale e di ben altri
orizzonti esistenziali come, ad esempio, i dirigenti aziendali, pubblici o privati, o alcuni imprenditori veri
e propri come artigiani e commercianti. Gli incazzatissimi operai americani che hanno visto chiuse le loro
fabbriche con la globalizzazione o gli ancor più furibondi minatori, sempre americani, che hanno visto
chiuse, per lo stesso motivo, le loro miniere, diventano così, nella caramellosa narrazione liberale, classe
media delusa del mid-west che segnala la sua protesta e il suo “disagio” con il voto a Donald Trump. Lo
stesso discorso vale per le stesse incattivite categorie sociali che hanno vissuto lo stesso destino nel nord
dell’Inghilterra e che per questo hanno votato per la Brexit. Nel meraviglioso mondo liberale della
globalizzazione anglosassone i lavoratori, tranne che per il regista inglese Ken Loach, non esistono più.
[continua]