Il libro di esordio di Amy Liptrot Nelle isole estreme (Guanda, 2017) si svolge in gran parte nelle isole Orcadi a nord della Scozia.

  Non è un romanzo ma un memoir; l’autrice scava nella sua vita, sullo sfondo le isole in cui è nata. Figlia di padre bipolare con tendenze schizofreniche e madre fanatica religiosa, dopo l’adolescenza (difficile) nell’arcipelago, si trasferisce a Londra dove vive di eccessi e di sballo restando vittima dell’abuso di alcool e di altre droghe. Dipendenza che le fa perdere il lavoro, il compagno e l’appartamento (scacciata dai coinquilini). Ridotta ad un relitto umano, dopo avere seguito il programma degli Alcolisti Anonimi, l’autrice per completare il percorso di disintossicazione lascia la metropoli londinese e torna nelle Orcadi, arcipelago da cui si era allontanata dieci anni prima.

Da adolescente aveva visto quelle isole come una prigione, tornata vi cerca degli interessi che la tengano lontana dal, sempre presente, demone tentatore dell’alcool. Aderisce al gruppo Orsi polari che effettua bagni in mare con qualsiasi temperatura dell’acqua (“Un tempo, il venerdì sera confondevo i miei neurotrasmettitori in un locale nel caldo asfissiante. Adesso, il sabato mattina scuoto i sensi nel mare tagliente, immergendo la pelle calda nell’acqua fredda, sollecitando con forza un’ondata di sensazioni, purificata”).

Guarda con occhi diversi la fauna insulare, come le foche grigie, i pulcinella di mare e i re di quaglie; partecipa ad una campagna di monitoraggio di quest’ultima specie che è in via estinzione in tutto il continente europeo – l’arcipelago delle Orcadi è uno degli ultimi luoghi in cui ancora nidifica.

Osserva le formazioni geologiche (“Un tempo, quando l’arcipelago era un’unica massa di terra, gli strati delle diverse isole si toccavano, poi sono stati erosi nel corso di millenni dall’azione di mare e ghiaccio. Archi naturali, faraglioni e grotte testimoniano la costante consunzione […] Mi spaventa il pensiero che ogni isola diventi sempre più piccola, mangiata dal mare”).

E’ incuriosita dalle testimonianze e leggende delle popolazioni che sono vissute in questo arcipelago nei secoli scorsi e dalle comunità delle piccole isole che resistono al progressivo spopolamento.

Durante le lunghe notti invernali che caratterizzano le alte latitudini si sofferma ad osservare le aurore boreali e gli oggetti di un cielo privo di inquinamento luminoso.

E’ attratta dagli eventi meteorologici estremi (“Un giorno il cui vento di sudest sferza con violenza le onde intorno a Fowl Craig vado a camminare in collina. Mi siedo a guardare il mare […] Mi alzo dal sedile di pietra, vigile: sento di aver fatto un passo avanti nella comprensione dei miei comportamenti, stimolata dall’energia del mare e del vento. Non è successo nello studio di un terapeuta, durante il lavoro coscienzioso sul programma […] ma all’aria aperta, mentre osservavo le onde. […]

Essendo cresciuta con la sua costante presenza, amo il vento: mi esalta come esalta i vitellini, che zampettano euforici nelle raffiche. Mi dà energia come un fuoco. Ricordo i blackout, le luci e la tv che guizzavano, le torce e le candele, la scuola chiusa. A Papay, durante una burrasca da est, le onde e la schiuma arrivavano in cima a Fowl Craig. Ritorno da una breve passeggiata con le orecchie indolenzite, in preda all’euforia. Un ruscello che scorre all’indietro, l’acqua sale in una nuvola di vapore catturando la luce. La banderuola sul mio tetto si è arresa e ruota senza sosta.”).

Libro descrittivo, privo di dialoghi. L’autrice utilizza un linguaggio asciutto ma “poetico”.

Un saggio sulle Isole Orcadi forse mi avrebbe annoiato, un libro sull’alcolismo non lo avrei neppure acquistato, invece il racconto autobiografico della scrittrice Amy Liptrot, attraverso la sua lotta quotidiana contro la dipendenza dall’alcool, mi ha permesso di viaggiare in questo arcipelago, di conoscerne la natura aspra.

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