Esistono libri che sanno rivolgersi a tutti, che portano con loro una complessità capace di renderli universali. Per questo potremmo pensare che riescano ad arrivare facilmente ad un pubblico più ampio, cosa invece per nulla scontata: perché, si sa, anche i lettori sono legati a stereotipi ben saldi per cui un albo illustrato è un libro per i piccoli, un giallo è solo un giallo e così via e continuano ad essere diffidenti verso tutto quanto non risponde alle loro immediate esigenze od aspettative. Figuriamoci se si tratta di un libro pubblicato da una casa editrice che ha un catalogo che si rivolge a bambini e ragazzi, figuriamoci se questo libro ha delle illustrazioni, figuriamoci se i protagonisti sono degli animali… I lettori forti, gli appassionati dei libri sanno bene cosa si prova quando, uscendo dai soliti binari, ci si imbatte in qualcosa di insolito: la sensazione è quella di aver scovato un tesoro. Capita, sì capita molte volte, ma è raro che i lettori adulti facciano queste scoperte tra la letteratura per ragazzi contemporanea. Per questo, essendo io un’appassionata di libri per bambini e ragazzi, quando trovo il libro giusto, mi piace lanciare delle piccole sfide agli amici che penso possano raccoglierle di buon grado, suggerendo letture in cui forse non si sarebbero imbattuti. Così è successo con “L’oca e suo fratello”. Il libro è di piccolo formato, copertina rigida, buona carta, grafica elegante: indubbiamente una bella edizione, sicuramente un libro molto amato dal suo editore che lo ha curato nei minimi particolari. L’autore, Bart Moeyaert, è il più importante scrittore per ragazzi fiammingo, vincitore nel 2019 dell’Astrid Lindgren Award, un premio prestigiosissimo. E’ composto di tanti brevissimi capitoli, che, uno dopo l’altro, raccontano quello che due fratelli, due oche, insieme a un cane, dei tacchini e delle pecore vivono nella loro fattoria. Unico elemento umano la contadina. Sia chiaro: nulla di più lontano da un manuale di zoologia e zootecnica, piuttosto sarebbe più corretto accostarlo a un trattato di filosofia. I protagonisti, come nella Fattoria degli animali di Orwell, ragionano, riflettono e pensano proprio come degli esseri umani; parlano di morte, di felicità, parlano di amore, di vicinanza, ma anche di dissidio e lontananze. Al centro ci sono i sentimenti, una voglia intensa di non fermarsi all’esperienza effimera, ma di interrogarsi su tutto. I limiti di ciascuno diventano per l’altro motivo di dubbio: le oche non sanno cosa succede nella fattoria durante l’inverno; i tacchini non sanno cosa succede a Natale; le pecore non conoscono il sapore dell’erba fuori dal cancello; il cane non capisce perché la contadina non si occupi solo di lui… Tutti alla ricerca di senso e di nuovi significati. Tutti si osservano, portano il loro sguardo, il loro piccolo sguardo, ma ricco di una particolare e originale prospettiva, capace anche di regalare splendide immagini poetiche.Episodio dopo episodio, domanda dopo domanda, il lettore si interroga e si diverte grazie all’ironia degli animali, sorride per la loro visione che pare ingenua, ma che in realtà descrive la tipica ottusità, che, se siamo sinceri, non possiamo non riconoscere in ognuno di noi. Nel leggerlo ci sentiamo continuamente sollecitati da punti di vista eccentrici e da inaspettate provocazioni. Da quando l’ho letto mi piace talvolta riaprirlo, rileggere uno dei brevi capitoli aprendo una pagina a caso e pensarci su.Eccola, pagina 61: Presidente.
PRESIDENTE Una mattina uno dei tacchini disse che conosceva una parola. Sapeva anche il significato, disse. Disse perfino che lui era quella parola.”Volevo solo dirvelo. Io oggi sono il presidente“. “Ah sì?”, disse l’oca, e sbatté le palpebre per non far vedere che non conosceva quella parola. “Oggi… e per tutto il giorno?””Sì”, disse il tacchino.”E quindi vuol dire che starai seduto?”, insistette il fratello con un sorriso arguto, perché voleva far vedere che non era nato ieri.Un pre-sidente, la parola lo dice, deve stare seduto.”Certo!”, disse il tacchino, e si lasciò cadere seduto lì dov’era, sulla soglia della porta, con la coda in fuori, verso l’aia.
L’oca e suo fratello, il cane, le pecore e i tacchini che non avevano mai sentito prima quella parola, si guardarono facendo delle smorfie. O facevano roteare gli occhi. Scambiavano gesti e sibilavano tra i denti: “Che cos’è oggi? Che cos’è?”.Ma nessuno lo sapeva di preciso.L’oca e suo fratello ci pensarono.Analizzarono quella parola che conosceva solo il tacchino e videro che, in effetti, il tacchino faceva quello che doveva fare: stava seduto.Poi a un tratto l’oca e suo fratello capirono anche quello che dovevano fare loro.”Dove andate?”, chiese il tacchino.”Dovresti saperlo”, disse l’oca e suo fratello, e anche il cane e le pecore e gli altri tacchini che non conoscevano la parola.
Tutti insieme uscirono nell’aia e rimasero in piedi. Guardavano il tacchino che dava loro le spalle seduto sulla soglia della porta.”Non so se posso resistere a lungo”, disse l’oca. guardando il sedere del tacchino.”Neanch’io”, disse il fratello.
“Io sono il presidente!”, esclamò il tacchino.
Sembrava un po’ arrabbiato, come se nessuno lo capisse. “Io sono il presidente!”.”Va bene”, disse il fratello. “E noi ti appoggiamo. Siamo tutti dietro di te…”.
(L’oca e suo fratello, di Bart Moeyaert, illustrazioni di Gerda Dendooven, traduzione dal nederlandese di Laura Pignatti. Roma, Sinnos, 2019)
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