Pur mettendo in conto che ogni epoca ha spesso ingannato se stessa nascondendo le sue brutture e volgarità (o peggio) ai contemporanei, è francamente difficile pensare a un tempo storico percorso da narrazioni coeve così false, così finte, così immaginifiche e lontane dal reale quanto il nostro. È questa, ormai, l’età della finzione, una distanza dalla realtà costruita giorno per giorno con tenacia e divenuta indispensabile, ai padroni del vapore, per tenere a bada e narcotizzare il gregge, il “volgo disperso che nome non ha”. Basta ascoltare gli interventi stantii di “rappresentanti istituzionali”, di “intellettuali”, di “economisti”, di opinion leader dei media mainstream per provare un senso di nausea (e a volte di vomito) di fronte a interventi tutti uguali, infarciti delle banalità più scontate, percorsi dai più logori luoghi comuni. Naturalmente quando il “discorso pubblico” (sarebbe meglio chiamarlo chiacchiericcio) incrocia qualche “pietra d’inciampo”, perché a volte la realtà sbatte in faccia situazioni non proprio gradevoli, ecco la sapienza “comunicativa” attribuire quelle storture al fato, al destino “cinico e baro”, in ultima istanza al cielo, agli dei dell’Olimpo. È spesso il caso dei temi ricorrenti, officiati come stanche liturgie, quali “le diseguaglianze”, “il riscaldamento climatico”, “la pandemia”, il Recovery fund, etc. Questioni serissime trasfigurate, nell’argomentare dei nostri, in termini insopportabili da cui stare alla larga. Una prova? Andiamo a vedere più da vicino queste “simpatiche” narrazioni attraverso le bestialità più pacchiane che reggono il dibattito pubblico, in particolare sulla descrizione “riconciliata”, positiva, soporifera del mondo in cui viviamo, il nostro.
a. La narrazione della fiction. Viviamo nel migliore dei mondi possibili (ah, Voltaire!) dove la globalizzazione ha giustamente santificato per sempre il sistema migliore, l’unico rimasto sul campo dopo la sconfitta del “regno del male” alla fine della guerra fredda: il capitalismo liberale nella sua versione più evoluta, quella finanziaria. Ad esso è congenita l’organizzazione politico-istituzionale liberal-democratica dei vecchi stati-nazione da affermare (o meglio: esportare, è più trendy) con ogni mezzo sul mondo intero riscoprendo l’umanità della guerra e il valore universale dei valori della cosiddetta civiltà occidentale. Strumento imprescindibile di consolidamento e sviluppo di questa civiltà è l’Unione europea attraverso le sue istituzioni – virtuali quelle politiche, reali quelle finanziarie – con cui affermare nel quadro ferreo dell’asse euro-atlantico una nuova missione civilizzatrice, quasi un nuovo fardello dell’uomo bianco (eh, Kipling!).
b. Il racconto della realtà. Viviamo in un mondo che ormai sta divorando se stesso (e l’intero pianeta), dove la globalizzazione ha prodotto e consolidato dislivelli incolmabili di condizioni di vita tra paesi ricchi (pochi, una ventina) e tutti gli altri, in cui la scomparsa di modelli sociali alternativi a quelli vigenti/vincenti (quelli liberal-liberisti, copyright Friedman-Pinochet) si è tradotta in nuove forme di sottomissione neo-coloniale di interi continenti con relativa reintroduzione di forme di schiavitù nei paesi più poveri ma più ricchi di materie prime. Negli stessi paesi “evoluti” la democrazia è ormai una volgare finzione: tutte le decisioni politiche che riguardano la vita di milioni di persone vengono assunte in sedi extra-istituzionali di natura finanziaria (le mitiche governance) ben lontane dalle sedi di una rappresentanza vuota (e chiassosa) e ben al riparo dagli intralci fastidiosi di quella che un tempo si sarebbe chiamata “sovranità popolare”. Strumento efficace e incisivo di questa nuova dimensione totalitaria globale (eh, Arendt!), ad uso e consumo dei signori della finanza e del web, questa inguardabile Unione europea, spietata e feroce con i paesi (e le classi sociali) più deboli e ora del tutto incurante della salute dei suoi disgraziati abitanti pur di mantenere un sano rapporto di sottomissione con le potentissime multinazionali del farmaco (e dei vaccini).
L’importante, per noi occidentali rimbambiti, è comunque continuare indifferenti e beati a fare finta di nulla. Per continuare a sognare e a dormire. E, alla fine, morire! (by Shakespeare).