La piccola oasi faunistica da qualche giorno non era più raggiunta dal rumore delle schioppettate.
Le alzavole non si sentivano più assediate, si spostavano tranquille, di qua e di là, nello specchio d’acqua. Erano in grande numero, qualcuna solitaria, la maggior parte in truppa.
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Tra loro si aggirava qualche folaga, qualche gallinella d’acqua – ma questa, anziché le superfici aperte, preferisce gli angoli più riservati.
C’era pure un tuffetto, ma la sua sagoma era intermittente – di tanto in tanto spariva sotto la superficie.
L’unico esemplare di germano reale, una femmina, in attesa dei suoi simili, sembrava presidiare quel luogo adatto alla nidificazione della specie.
Una nutria attraversò lo stagno e uscì dall’acqua in un tratto di riva occupato da un gruppetto di alzavole che riposavano con la testa scomparsa nel piumaggio; non cercava la loro compagnia, era indifferente a quelle papere.
Tutte presenze consuete in pieno inverno, eppure, anche se era il 12 febbraio, qualcosa s’era smosso, i mandorli dimenticati nei campi della vallata avevano iniziato a colorarsi di rosa. Alcuni giardini della periferia erano macchiati dal giallo dei fiori di mimosa. Da settimane lungo lo stradino che conduce allo stagno erano spuntati i fiori dell’Anemone stellata.
E non riguardava solo il regno vegetale; dalla vicina riva del Metauro giungeva il verso di un torcicollo. Quel picchio non era l’unico ad aver lasciato il quartiere di svernamento: una femmina di falco di palude se ne stava su un albero secco nel bordo dello stagno.
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Fiero, girando il capo biondo, il falco si guardava attorno dal suo piedistallo; poi si alzò in volo. Sorvolando lo specchio d’acqua, la sua sagoma si stagliava contro il cielo, ma anche contro i capannoni industriali che negli ultimi anni, rosicchiando il territorio, alla chetichella, si erano avvicinati allo stagno.
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La sua silhouette mostrava una magagna: una penna remigante mancava all’appello, eppure le sue manovre nella fredda aria di febbraio erano perfette, planate alternate al volo battuto. La testa rivolta verso il basso, verso il canneto, biondo come il suo capo.
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In altri periodi la sagoma di falco di palude avrebbe provocato scompiglio, folaghe, gallinelle, germani sarebbero corsi in soccorso dei pulcini mandando versi d’allarme: “mettetevi al riparo!”. I cavalieri d’Italia, più intrepidi, l’avrebbero attaccato. Ma a febbraio il suo volare lasciò indifferenti la folla radunata sulla superficie acquatica: alzavole, folaghe e tutti gli altri proseguirono placidamente nel loro tran tran.
Il buttarsi del falco nel canneto non diede risultati. Senza prede, ferito nell’orgoglio, il falco di palude si posò, rassegnato, su un altro albero affacciato allo stagno.
Eppure, poco dopo, la confusione irruppe tra le placide alzavole: era scoppiata una cagnara.
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Alti spruzzi al centro dello stagno: due maschi se le stavano dando di santa ragione. I loro corpi avvinghiati sparivano sotto la superficie dell’acqua. Peggio che in una partita di pallanuoto. Di tanto in tanto, da quella colonna di spruzzi fuoriusciva una testa verde-rossiccia o la punta di un’ala.
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Tutto questo a pochi metri da una femmina che guardava, inespressiva, quella manifestazione di mascolinità.
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La lotta fu lunga e serrata. Uno si avventò sul rivale col becco aperto e lo costrinse a levarsi in volo, ma il volo fu brevissimo, nessuno dei due voleva abbandonare l’oggetto del contendere.
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I maschi si portarono ai lati opposti della femmina; lei, scortata, tornò a muoversi sull’acqua. Ogni suo cambio di direzione era prontamente seguito da quello sincrono dei due maschi.
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Lei non aveva fretta di scegliere con chi condividere la progenie. Per il lungo viaggio verso i territori di nidificazione c’era tempo.
Didascalie foto:
1 – Alzavole, Stagno Urbani (Fano), 12 febbraio 2025
da 2 a 4 – Falco di palude, Stagno Urbani (Fano), 12 febbraio 2025
da 5 a 9 – lotta tra due maschi di alzavola, Stagno Urbani (Fano), 12 febbraio 2025
10 e 11 – Femmina di alzavola, scortata da due maschi, Stagno Urbani (Fano), 12 febbraio 2025