Una recensione all’autoantologia Come è passato il tempo (poesie 1980-2020) compare sotto un titolo provocatoriamente ironico: Risistemar e auto-antologizzar. L’autoantologia fra impulso storicistico, promozione di sé e verifica identitaria. Autore Massimo Morasso. (L’anello critico 2022. Annuario della poesia italiana contemporanea). Altri poeti sono chiamati in giudizio, rei confessi di un impulso “mendace”, “monumentalizzante”: 6 cold cases. Gente che cerca di giudicarsi da sé, sfuggendo al controllo e al vaglio dell’autorità critica, magari con l’aiuto di un complice (nel mio caso due: Massimo Raffaeli e Fabio Pusterla).

Posso spiegare come sono avvenuti i fatti. Ho fatto leggere al direttore della collana di poesia della Marcos y Marcos un libro di poesia, lui ha detto sì, va bene, ma ha aggiunto che avrei dovuto aspettare tre anni. Ora, io sono indiscutibilmente vecchio per cui ho chiesto se non fosse il caso di costruire un’antologia e lui mi ha risposto che stava pensando la stessa cosa. Ci siamo accordati sull’antologia, ma il tempo sarebbe slittato di un altro anno. Nel frattempo quel libro è stato pubblicato da Manni, con il titolo a mio avviso significativo Uscita secondaria. L’idea era quella appunto di uscire – ringraziando per la non attenzione – da una porta secondaria.

Promozione di sé? Sono sempre stato una frana in quanto all’auto-promozione. Promozione di sé: è un concetto che mi è talmente estraneo che addirittura mi fa ribrezzo, per insegnamenti famigliari, paterni. Quanto all’ansia storicizzante: è la prima sfida che si è presentata alla mente. Sarei stato in grado di gestirla? La sfida mi piaceva. Dovevo essere estremamente severo con i miei libri, e lo sono stato. Avevo a disposizione 250 pagine, ne ho utilizzate 218. Un dato quantitativo, d’accordo, ma chiarissimo. Mentre non capisco come si possono analizzare sei antologie in una decina di pagine.

Caro Massimo Morasso, non voglio ispirare simpatia, e non mi sono mai dato un piccolo compito: l’economia dei mezzi non è un vezzo, serve per una critica del superfluo … e quella che tu chiami onestà, è una scelta che si presenta sempre nuova, ad ogni verso, tra menzogna e sortilegio, con maschere differenti, e ci sono voluti anni per capirlo (sarò un po’ testone, che vuoi), escludendo di volta in volta quei riferimenti che invece per la cultura contemporanea sembrano imprescindibili. Non ne ho, né mai ne ho avuti. Non mi interessano le ricognizioni della vita quotidiana se non sono “concrete”, nel senso hegeliano, che acquisiscono senso dal quadro complessivo, e che dialogano e si mettono in relazione fra loro: mai ho composto un libro che fosse una semplice raccolta di testi. Esercizi per cosmonauti, che sta volutamente al centro della mia antologia, è un’unica poesia composta di 52 frammenti. Parla della fine dell’ermeneutica, della capacità di interpretare il mondo. Inoltre, ho scelto per l’inizio e la fine dell’antologia due sezioni inedite (quasi quaranta poesie nuove dove a me pare che l’atteggiamento sia cambiato), insomma ho voluto costruire un nuovo libro basato sui precedenti, che rappresentasse sia il passato sia il presente. L’ultima sezione infatti segue il filo rosso, per me drammatico, dei limiti del linguaggio (e della poesia) di fronte alle nuove immagini che da mezzo secolo ci descrivono come spietati animali parlanti composti di materiale deperibile e persino senza nome.

Quello che stupisce è la costruzione dell’analisi (e soprattutto il tono). Il critico spiega le difficoltà di convivenza tra autòs e éteros, sul faidate o “chiama l’esperto”, e se ne esce con questo brano: “L’autoantologista in vena di rilettura del proprio percorso testuale in chiave aneddotica e autobiografica sottrae spazio all’éteros sgominando ogni resistenza della censura per conquistare all’autòs tutti gli spazi e farlo argomentare/confessare alla chiara luce del qui e ora, ma da una specola metacritica che guarda in tralice à rebours.” Stupefacente.

Caro Massimo Morasso, perché proprio non riesci a capire come si possa fare semplicemente un’autoantologia senza un inconfessato peccato originale? Tu dici: “io non credo possibile una vera poesia nutrita in prevalenza di verità di vita quotidiana” etc. Sostieni che ho una piccola musa da portare al guinzaglio, di sera, come onesto passatempo. Forse pensi che un po’ di metafisica, magari concreta, come raccomanda Massimo Cacciari, sarebbe una buona cosa, visto che la realtà è fastidiosa, con quel suo modo irritante di ridicolizzare le teorie e le filosofie. E le campiture retoriche. Ne terrò conto. Però a me i “sottili ragnateli” pseudo-filosofici non piacciono.

Bei tempi, quando i critici si mettevano al servizio della poesia (non dei poeti). E se uno pensa a quanti pantheon di cartapesta vengono eretti ogni giorno e dunque a quanto lavoro critico serio, intelligente e sensibile ci sarebbe da fare, a che serve questo esibizionismo?

[Immagine: Giulio Paolini per il catalogo delle edizioni L’obliquo, 2014]

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