Camminavo sull’argine rialzato del Canale Ceresolo, tardo pomeriggio, la luce dell’imbrunire si specchiava nell’acqua verde. Alle spalle Rovigo, di fronte la pianura estesa che accompagna il corso del canale verso il Mare Adriatico. A fianco, non visibile in un percorso parallelo, il fiume Adige, padre del Ceresolo e di altri corsi d‘acqua irrigatori.
Osservavo l’acqua verde con il cielo riflesso scorrere lenta, era in piena salute, parlava in pace con la fluidità del benessere, trasmetteva accoglienza e invitava al silenzio saporoso.
Quello fu un esempio di quando il reale si trasforma in astratto, di come quel tipo di esperienza ti sobbalza nell’universo e noi umani, con stupore, sentiamo di non essere unici.
Come ci dice Carlo Rovelli siamo portatori di un codice genetico che proviene dagli alberi e dalle farfalle.
“Siamo fatti degli stessi atomi e egli stessi segnali di luce che si scambiano i pini sulle montagne e le stelle nelle galassie.”
Mi ci volle un po’ prima di capire la meraviglia che provai, quel pomeriggio, quando su quel argine, camminando sull’erba già umida della prima sera, dopo aver trovato lische di pesce, pezzi di molluschi e madreperle frantumate, gli occhi incuriositi si imbatterono in una conchiglia. Non ero fino allora a conoscenza dell’esistenza di conchiglie di fiume, tra l’altro, quella che avevo sotto gli occhi era di una grandezza notevole, aperta, tanto da manifestare la brillantezza di perla dell’interno in un serio contrasto con il colore scuro profondo, ordito nelle mille striature e tessiture della valva superiore.
Il tempo si fermò, l’improbalità e la probalità del trovamento mi portarono proprio in quel luogo poco frequentato dell’astratto, con l’aria e l’intero paesaggio colorato, profumato e sonorizzato di quel fine pomeriggio. Mi sentii come un archeologo di fronte a una scoperta non attesa ma insieme anche con l’inquietudine di darne un significato.
Quella meraviglia provocò in me l’interesse e la curiosità di interpretare e di approfondire quel momento trascorso sul Ceresolo. Avevo intuito ma non realizzato quale collegamento sotterraneo ci fosse da scoprire tra il trovamento del mollusco e il mio lavoro d‘artista.
L’oggetto di per se si dichiarava consono ai pennini e agli ultimi lavori grafici. La sequenza delle striature, delle linee concentriche evolutive sopra le valve della conchiglia, lo spazio vuoto, bianco, rappresentato dalle due “Labbra” aperte che in vita ospitava il mollusco, era in sintonia con il bianco e nero di china e di carbone distribuito nel foglio bianco da disegno Fabriano.
Ebbe inizio una narrazione intima con la conchiglia, di sicuro capitata lì in mezzo all’erba verde, poco prima del mio passaggio, in un improbabile salto-volo dal corso d’acqua che scorreva un metro sotto di me all’argine. In quel momento sapevo che canali, ruscelli, corsi d‘acqua fossero frequentati da gamberetti e granchi bianchi ma non da conchiglie.
L’aspetto più amorevole dell’esperienza fu, dopo averla presa in mano, percorrere con lo sguardo la tessitura esterna del mollusco, centimetro quadrato per centimetro quadrato in alto e in basso. Un territorio, realmente di piccole dimensioni che diventò invece un pianeta immenso pieno di segni, di memorie, uno scrigno di conoscenza delle ere evolutive, di strade di percorsi. Le macchie di nero grigio verde, filamenti di marrone, evidenziati dalla leggera umidità dell’imbrunire, formatasi sui fili di erba dove raccolsi la conchiglia, definivano anfratti, montagne, discese, pianure, letti di fiumi e tanta consapevolezza di bene comune.
Sfogliarne, una ad una, tutte quelle immagini informative registrate sulla valva superiore mi hanno aiutato a comprendere ulteriormente i segni del mio lavoro il quale fino a quel momento era riferito alle linee di una scrittura, seppure interiore, limitato a un certo perimetro di coscienza. Un approfondimento biologico nella mia anima, un imput ulteriore per assaporare e comprendere il mio-nostro: nascosto, violentato, dimenticato, confuso, vergognoso, perduto desiderio di pace…
Fano Marzo 2023
Stefano Paci
Il Ceresolo nasce a Badia Polesine dal più grande canale Adigetto che come si intuisce dal nome nasce come arteria artificiale dal fiume Adige. Percorre tutta la pianura di Rovigo che si estende verso il Delta del Po per reimmettersi nell’Adigetto vicino al paese di Caverzole.
La Conchiglia “Anodonta Cygnea” è un bivalve della famiglia dei Unionidae. E’ senza dubbio una specie molto particolare in quanto vive in corsi d’acqua lenti o addirittura stagnanti. Riesce bene a stabilirsi in terreno fangoso fino a farsi coprire del tutto, facendo emergere solo i sifoni durante la fase di filtrazione dell’acqua e di respirazione.
La conchiglia trovata, riferendosi ai dischi concentrici sulle due valve potrebbe avere più di quindici anni. Naturalmente non è saltata o volata sull’argine del Ceresolo da sola ma trasportata li dalla ruspa addetta al dragaggio per la manutenzione ciclica del canale.
Carlo Rovelli “Sette brevi lezioni di fisica” 2014 Adelphi editore