Il terzo paesaggio per Gilles Clément è composto da tutti i luoghi abbandonati dall’uomo, dalle grandi aree dei parchi, dalle aree dismesse o addirittura dalle aiuole spartitraffico, alle aree di risulta delle rampe di accesso alle autostrade.

Tutti spazi uniti solo per l’assenza umana. Questa intuizione di Clément si presta anche, ed è il caso mio, a riflessioni teoriche non solo di tipo botanico, ma sociali, antropologiche e anche politiche e architettoniche. Tale concetto può avvicinarsi alle teorie del bioregionalismo in cui il paesaggio viene osservato non dal punto di vista antropocentrico, ma per l’insieme delle sue risorse geomorfologiche e biologiche.

Quelli del terzo paesaggio sono luoghi, rifugi per la diversità, indispensabili per il mantenimento di uno stadio biologico naturale. Il terzo paesaggio si caratterizza per l’attenzione all’incolto (friche) o al residuo (délaissé), spazi dove la natura prende il sopravvento.

I giardini in movimento sono quelli senza alcuna decisione umana. “Il giardino in movimento è lo spazio in cui la natura non è assoggettata e soffocata dalle briglie di un progetto”. La natura si riappropria delle aree abbandonate permettendo anche ai piccoli spazi residui una vita autonoma con il concorso di specie pioniere che favoriscono altre che si impossessano di quegli spazi (délaissé) con una sorta di riappropriazione naturale. Questo comporta la consapevolezza di una rivoluzione nei modi di pensare gli interventi, i progetti, per andare oltre alla posizione profetica del dogma del non fare o lasciar fare.

Occorre riflettere su cosa si intende per progetto di intervento corretto in un determinato paesaggio, che, sinteticamente, può essere espresso nella attenzione alla conservazione della tipicità del luogo, alla tutela della sua sopravvivenza e alla valorizzazione dei suoi caratteri. Questo è compatibile con la difesa e la promozione del terzo paesaggio. L’intervento sostenibile è riconoscere il comportamento delle varie specie, assecondare i movimenti naturali e ridimensionare il ruolo del giardiniere che resta, tuttavia, centrale. “Il giardiniere osserva. Studia. Parte da quello che c’è”. E adopera tutte le sue conoscenze botaniche non considerando la pianta come un oggetto finito.

Il disordine diventa opportunità per far vivere l’area secondo natura. Affiora il pensiero di considerare valore il disordine.

 Paradossalmente questo nuovo modo di avvicinarci al progetto è un metodo per capire il disordine conclamato di Pollock, di Mirò, di Picasso … il disordine dell’architettura di Hans Scharoun che, non solo abbandona gli insegnamenti del razionalismo, ma cerca l’armonia della apparente casualità per proporre spazi felici, liberi dalle rigide e algide regole geometriche. Anche l’architetto Giovanni Michelucci che realizza, da vecchio, architetture mirabili esprimendosi con la libertà del poeta, crea strutture “disordinate” che incontrano direttamente chi le guarda e chi riesce ad abitarle, a viverle: sono emblematiche la chiesa cosiddetta dell’Autostrada (vicino a Firenze), la chiesa di Longarone (BL) e la chiesa a San Marino.

La teoria del terzo paesaggio può essere adoperata per capire altre realtà, altre discipline. La ricchezza dell’intuizione di Gilles Clément favorisce l’interpretazione di opere d’arte, pittoriche, scultoree ed architettoniche, specie quelle della nostra contemporaneità. Libera l’analisi e la critica d’arte dai vecchi schemi del passato e il suo jardin en mouvement assume valore simbolico per il suo mondo non statico. Forma, vita, estetica, ecosistema, sono i pilastri del terzo paesaggio dove la sorpresa è la protagonista dello spazio e dove si apprende l’arte di agevolare, di favorire, incoraggiare… dell’andare verso.

[nell’immagine: Kandinsky, Macchia nera]

 

 

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