IL MONDO “ SOTTOSOPRA” DI MILENA AGUS
Nei romanzi di Milena Agus il mondo femminile con tutte le sue problematiche è certamente grande protagonista; ma nell’ultimo lavoro, Sottosopra ( Nottetempo, 2011), l’inquietudine e il disagio del vivere non sono più prerogative di genere, diventano mali generalizzati della società contemporanea che stenta ad evolversi, a riconoscere i diritti di tutti ad essere come si è, senza indossare maschere o seguire modelli precostituiti. E’ il concetto di normalità, così caro alla Agus, che qui viene affrontato; il sottosopra del titolo è un dato fisico ( piano di sopra e piano di sotto di un palazzo ), ma è soprattutto un dato mentale e culturale, un punto di vista. Tra i tanti temi presenti nel romanzo, ad esempio, ha un ruolo forte il concetto di famiglia che viene esplicitato in tante tipologie. In linea con l’ottica straniata del romanzo emergono le convinzioni della Agus; le famiglie perdenti, quelle che si sfasciano tra dolori, incomprensioni sono proprio quelle che dalla posizione erecta sono considerate normali; mentre quelle più vitali, accoglienti e amorose sono quelle che per essere capite vanno viste a testa in giù.
Alice è la protagonista e la voce narrante che annota, osserva e registra la vita del palazzo in cui abita. Un palazzo di pregio in un quartiere povero, multietnico, vivace e pieno di profumi e colori nella zona del porto di Cagliari. In questo palazzo si combinano storie di personaggi stralunati, bizzarri, strani, in qualche mondo rovesciati rispetto allo stereotipo comune. Di qui il titolo emblematico del romanzo, Sottosopra, l’unico titolo possibile, dice l’autrice; in effetti in quel palazzo chi vive di sopra vorrebbe vivere di sotto e viceversa, la storia d’amore bella, pulita non sboccia tra giovanissimi ma tra due anziani; il più saggio di tutti non è un anziano ma un bambino, Giovannino, e così via.
La Agus ha intrecciato una sorta di favola, di storia fantastica in cui si muovono personaggi esagerati, ma alla fine ti accorgi che in quel loro essere “ strani” e nel persistere tenacemente nella difesa della stranezza sta proprio il senso profondo della vita e della libertà. Come dice il signor Johnson, uno dei personaggi centrali, “… non siamo mai come ci vorrebbero gli altri. Possiamo dispiacercene molto, perfino morirne. Oppure accettare di essere al rovescio, come nelle filastrocche”( pag. 84 ). Proprio questo Alice apprende in mezzo a quelle atipiche creature. Così pesantemente segnata sin dall’adolescenza dal suicidio del padre, dalla follia della madre, dal comportamento ingeneroso di parenti ed estranei che l’hanno isolata, evitata, marchiata come “ figlia di…. “, relegandola nella solitudine e nella diversità come colpa, in quel palazzo Alice ritrova sentimenti, condivisioni, relazioni autentiche e così quelle creature diventano la sua famiglia e lei riesce a ritrovare l’equilibrio e il senso della vita che affannosamente cerca.
Il punto di vista di Alice è nel mezzo di questo sottosopra, potremmo dire che lei è nella strozzatura di una clessidra in cui facilmente puoi renderti conto che la sabbia segnatempo scorre indipendentemente dal verso in cui l’appoggi. In quest’ottica il palazzo e i suoi condomini diventano un microcosmo, un favoloso “ altrove” in cui ognuno può vivere secondo i più intimi parametri anche se il mondo cosiddetto normale, codificato nei ruoli, preordinato nei tempi e negli spazi, li bolla come stonati, inadeguati e impropri.
Disordine contro ordine, dunque; ma anche, se vogliamo, libertà contro modelli esistenziali rigidi e imposti. Chi può dire dove e quale sia la via giusta? Se nell’altrove favoloso realisticamente vissuto o nella prosastica realtà vissuta con quotidiana insofferenza !
Alice (e già la scelta del nome, che ci viene svelato solo alla fine, rimanda al Paese delle meraviglie e alla più famosa eroina di capovolgimenti magici) filtra le storie dei protagonisti con le memorie private, con la sua vita di adolescente solitaria vissuta per anni proprio in quel palazzo di famiglia, dove era stata mandata per allontanarla dal paese e dalla pazzia di sua madre Ofelia. I protagonisti del piccolo romanzo sono vari, ma quelli centrali sono due anziani del palazzo che, al di là dell’età, hanno la forza di costruirsi e vivere un loro tenero amore, al di là dei pregiudizi, delle illazioni, seguendo solo gli impulsi profondi del loro animo. Anna è una sessantenne dall’animo puro e altruista, pieno di slanci e stupori, a cui la vita ha dispensato a piene mani fatica e amarezze. Dopo l’abbandono del marito vive con la figlia Natascia, giovane bellissima ma angosciata dagli incubi della esagerata gelosia e dalla diffidenza per paura verso tutti. Le delusioni, gli abbandoni e i sentimenti traditi non hanno però intaccato in Anna il bisogno di aiutare gli altri, di condividere e soprattutto di sognare un “altrove” in cui ci sia posto anche per amare e essere amata. Chiusa nel suo appartamento del piano di sotto, buio come un antro, piccolo e pieno di modeste cianfrusaglie, Anna materializza il suo personale “altrove “nell’appartamento del piano di sopra, ampio, luminoso dove la luce e l’odore di mare entrano e si mescolano ai mobili e agli arredi lussuosi e dove, soprattutto, vive un fascinoso violinista dal passato glorioso, che ora, per naturale ritrosia e per totale disinteresse per il denaro e la fama, preferisce suonare sporadicamente sulle navi da crociera. Si tratta del signor Johnson, un musicista americano sposato con una ricca ed eccentrica signora sarda, che poco si cura di lui e preferisce perseguire in giro per il mondo i suoi effimeri capricci di donna inquieta. Così il signor Johnson, dall’animo di vero artista, elegante nei modi, ma trasandato come un barbone nell’aspetto esteriore, vive spesso solo nella grande casa. Anche lui sogna un altrove, per esempio il calore, la vitalità, la semplicità che sprigiona dalla modesta donna delle pulizie del piano di sotto.
Anna, approfittando della momentanea assenza della signora Johnson, accetta di fare le pulizie al piano di sopra, nonostante la contrarietà di sua figlia Natascia; per la sognatrice Anna è l’occasione per alimentare il suo sogno, cura e accudisce i vestiti, gli oggetti, la casa del trasandato signor Johnson e intanto cresce in loro un’intesa profonda e un sentimento d’amore puro e tenero. Al ritorno della sofisticata moglie di lui, tutto sembra tornare all’ordine precedente: Anna scende al suo piano di sotto e smette di incontrarsi con il sig. Johnson perché, dice, lei non è una “rovina famiglie”. Ma l’ordine ristabilito è raggelante, fa soffrire tutti e certo non può durare per gli inquilini del palazzo “sottosopra”.
Nell’ultima parte del romanzo tutto si rimescola e si riassetta sulla linea del disordine iniziale con in più, però, la consapevolezza che la felicità è un bene prezioso e spesso ciò che rende felici è considerato dagli altri sciocco o fuori norma. C’è addirittura una nuova e inaspettata adesione a questa visione liberatoria del sottosopra, è la signora Johnson o meglio Urgu, che ritrova, con il ritorno al suo nome sardo, anche un’identità più autentica, che da spazio ai sentimenti e alla capacità di comprendere i bisogni del marito e del figlio omossessuale. Solo un’ottica straniata, flessibile ci può illuminare sul senso della vita, ma per fare questo occorre riconoscersi nel profondo, accettarsi ed essere un’anima pulita e bella, come lo sono i protagonisti di questa storia e in particolare il figlio del violinista, Johnson junior che svolge ai loro occhi, capaci di vedere oltre, il ruolo, del tutto imprevedibile in un altro contesto, del saggio.
Il romanzo con una trama leggera, esile, riesce a veicolare, secondo me, temi di grande complessità e attualità come l’integrazione tra le diversità, l’accettazione di sé e dell’altro a prescindere da tutto. Il tema non attiene solo alla dimensione sociale, alla sua coesione, ma anche e soprattutto alla dimensione psicologica di ognuno di noi, perché spesso soffriamo per allinearci a modelli di supposta normalità e per questo miraggio soffochiamo sogni, aspirazioni, tendenze, comportamenti trasformandoci in automi estranei a noi stessi.
Nelle atmosfere a volte estreme e favolistiche delle sue storie, emerge la grande forza della donna di trovarsi il proprio “varco”, l’uscita di sicurezza per salvarsi dalle angosce della quotidiana sofferenza; può essere la scrittura nel diario segreto, come in Mal di pietre, o la fantasia che indefessa reifica i mondi dei nostri sogni, come in Sottosopra. La ricerca della salvezza, del varco è comunque sempre personale o al massimo aiutata da figure occasionali; le sue donne vivono i propri disagi esistenziali nella dimensione della quotidianità, delle relazioni famigliari e amicali di un piccolo mondo, non hanno alle spalle la cultura storica delle battaglie femministe, ma hanno l’inconscio bisogno di libertà che sostanzia ogni essere umano.
Le storie della Agus hanno, a mio avviso, il fascino dell’incanto. Nei suoi romanzi ci sono delle costanti che ne contraddistinguono il repertorio tematico. Tra queste :
- ci sono sempre delle diversità da accettare ( culturali, etniche, sociali, sessuali, o più semplicemente di età ), da imparare a guardare con occhi diversi;
- ci sono sempre delle situazioni famigliari contorte, ambigue, quanto meno strane e fuori dagli schemi. Ricorre spesso nei suoi romanzi il tema della maternità elettiva, della crisi della famiglia tradizionale; la scrittrice è convinta che i rapporti di sangue non necessariamente sono autentici e rassicuranti ( questo è evidentissimo nel romanzo Sottosopra ), spesso sono agenti patogeni a cui si contrappone la gratificazione derivante invece dalle relazioni che ognuno si sceglie liberamente.
- Ci sono sempre delle case, dei luoghi domestici ( quasi delle tane ) che hanno una forte incisività nel rapporto con i personaggi, soprattutto femminili.
Cominciano in sordina, con piccole cose da nulla, famigliari, domestiche e poi crescono, ti sorprendono e toccano i grandi temi di sempre ( l’amore, la morte, le relazioni con l’altro ), ma sempre con mano garbata, mai prevaricante e ti portano a sparigliare, a scombinare quella che ostinatamente riteniamo essere l’unicità della realtà. La scrittrice la chiama magia e forse, molto semplicemente, sta lì l’unica possibile felicità : “ perché senza magia la vita è solo un grande spavento”.
Franca Del Pozzo