“Per me gli alberi sono sempre stati i predicatori più persuasivi. Li venero quando vivono in popoli e famiglie, in selve e boschi. E li venero ancora di più quando se ne stanno isolati. …. Tra le loro fronde stormisce il mondo, le loro radici affondano nell’infinito; tuttavia non si perdono in esso, ma perseguono con tutta la loro forza vitale un unico scopo; realizzare la legge che è insita in loro, portare alla perfezione la propria forma, rappresentare se stessi. Niente è più sacro e più esemplare di un albero bello e forte” [da “Il canto degli alberi” di Hermann Hesse]
Percorriamo un sentiero che conduce alla cima del Monte Nerone.
Attraversiamo una faggeta spoglia. Solo qualche sparuto agrifoglio e tasso la macchiano di verde.
E’ l’ultimo giorno di aprile, ma qui l’inverno è finito da poco. Sono comunque comparsi dei colori; le piante del sottobosco s’affrettano a fiorire prima che giunga l’ombra del fogliame. La bella stagione inizia dal basso.
Non ci sono ancora i fiori dell’Aglio orsino, le sue foglie lanceolate interrompono, qua e là, la crosta di foglie secche che copre il terreno.
La vita animale sembra ancora assente; si sente solo il verso lontano di un Cuculo.
Raggiungiamo la nebbia – o è lei che ci raggiunge? Si fa particolarmente fitta sopra il Rifugio Corsini. La sommità del Monte calza un cappuccio grigio.
Al margine del parcheggio, poche decine di metri sopra il rifugio, una falsa finestra con le persiane spalancate riporta la scritta “Benvenuti a Monte Nerone”. Dovrebbe incorniciare il rifugio immerso nella natura, inquadra invece una uniforme superficie grigia.
La nostra meta è un faggio monumentale che non ho mai visitato, so che si trova a poca distanza dal rudere della Casciaia.
Sul bordo della strada nei pressi del rudere c’è un grosso faggio, ne troviamo un altro al margine del bosco, ma nessuno dei due è quello che stiamo cercando. Il monumento vegetale so che si trova, isolato, nel prato a monte della Casciaia.
La visibilità è di pochissimi metri, mi addentro nella nebbia un pò a caso mentre Rita aspetta al margine del bosco. Sparisce la Casciaia, il bosco e qualsiasi altro riferimento. Un grigio uniforme mi avvolge. Sto attraversando una nuvola a 1400 metri sul livello del mare.
Ad un certo punto mi sembra d’intravedere una figura ramificata; procedendo, quella che è solo un accenno, una speranza, inizia a delinearsi: è il faggio monumentale. Come negli altri due grossi faggi già osservati, il suo tronco è avvolto da uno strato di muschio, mentre quelli (giovani) della faggeta sono vestiti solo di chiazze di licheni.
Con la voce trasformata in nautofono, guido mia moglie verso l’albero; sono poche decine di metri ma sufficienti per perdersi. Mentre la chiamo mi torna in mente una scena di Amarcord: il nonno perso nella nebbia davanti al cancello di casa sua che grida il nome della moglie.
Misuriamo la circonferenza del tronco: 5,60 metri.
A terra, accanto alle faggiole della precedente stagione, numerosi fori; sono le estremità dei tunnel sotterranei scavati dalle arvicole. I semi dell’enorme faggio hanno nutrito quei micromammiferi quando il prato era ricoperto di neve.
Intorno al Faggio le prime fioriture, timida rinascita della natura; fra qualche giorno sarà tutto un brulicare, fremere, pulsare, cantare.
Didascalie foto:
1 – Monte Nerone, 30 aprile 2023
2 – Aglio orsino, sottobosco faggeta
3 – Falsa finestra, parcheggio Rifugio Corsini
Da 4 a 7 – Faggio monumentale nella nebbia, Casciaia, 30 aprile 2023