Un po’ balbettante come Giorgio VI (re d’Inghilterra) nel leggendario discorso del settembre ‘39 in cui preannunciava la dichiarazione di guerra alla Germania nazista (vedasi l’agiografico e pluri-premiato film di Tom Hooper) il podestà forestiero, il nostro nuovo (eccellente) primo ministro ha affrontato il bestiario del Parlamento della Repubblica presentando i suoi ministri ed il suo programma di governo attraverso la messa in scena della farsa della cosiddetta “unità nazionale”, in realtà un vero e proprio commissariamento della Repubblica da parte delle istituzioni (finanziarie) europee.

Due considerazioni assai semplici e altrettanto evidenti sul “governo dei migliori”. 1) La compagine ben assortita, su cui non vale la pena perdersi in polemiche inutili per la presenza di questo o di quello, presenta una secca suddivisione di ruoli che, ovviamente, non passa per le appartenenze politiche e le funzioni dei ministri. No! La suddivisione dei compiti è molto semplice: le materie strategiche sulle quali impatteranno i finanziamenti europei (209 miliardi di euro!) e le relazioni con i centri del potere finanziario globale saranno tutte seguite dagli adulti, dai (super)tecnici amici del primo ministro, per evitare “scartamenti” ed “errori”, soprattutto nella gestione dei fondi; le altre, anche quelle apparentemente importanti ma che dentro la crisi pandemica diventano quasi marginali, ai bambini, ai politici espressi dai cosiddetti partiti, perché possano nel frattempo continuare a schiamazzare e a giocare in cortile con i loro passatempi  preferiti facendo finta di contare ancora qualcosa giusto per tenere a bada e distrarre i loro tifosi più accesi (e più allocchi). D’altronde il podestà forestiero non è stato chiamato a fronte dell’impotenza, dell’incapacità, dell’incompetenza, in una parola, del profilo inesistente di una politica ridotta a chiacchiericcio da bar da qualche decennio? E allora perché meravigliarsi se l’economia non si fida più di delegare i propri affari a figure insignificanti e un po’ ebeti ed assume in proprio la responsabilità di governo? 2) Da quel poco che è dato capire dall’ecumenico e paludato intervento del primo ministro non pare ci si debba aspettare sconvolgenti novità nel programma di governo. Al di là dell’osservazione (banale) che la Compagnia di Gesù ha spesso espresso allievi migliori del nostro e lasciando perdere l’evocazione del fantasma del primo ministro del Regno di Sardegna di 160 anni fa (quasi fossimo a una seduta spiritica), non sono grandi novità la ribadita appartenenza al campo euro-atlantico, la fedeltà assoluta ai dettami dell’UE, le invocazioni liturgiche sul pianeta e sull’ambiente e la preannunciata riforma fiscale “semplice e progressiva” come, d’altronde, indica chiaramente la stessa Costituzione. L’impressione finale ricavata è che anche questa generica illustrazione delle linee d’intervento del nuovo governo sia essa stessa una finzione accettata da tutti, dai disorientati, inutili, partiti alla giostra giuliva dei media: a parte pochissime eccezioni, il coro sembra avere finalmente (ri)trovato il proprio cavaliere libero e selvaggio, senza macchia e senza paura, su cui puntare “per la ripresa”. In realtà l’economia e la finanza non hanno tanto tempo da perdere per discutere il da farsi con le istituzioni farlocche e ormai insignificanti di una democrazia rappresentativa in agonia dalla fine del secolo scorso. I provvedimenti arriveranno senza preavviso, come è stato preannunciato per la riforma fiscale; le intendenze, come sempre, dovranno rassegnarsi a seguire. Al resto penserà un nuovo/vecchio dio onnipotente: il mercato!

E così, allegri e felici, ci incammineremo tutti verso il definitivo superamento dell’assetto democratico e repubblicano della Costituzione del ‘48 eleggendo fra un anno, come Presidente della repubblica, il nostro amato primo ministro. Ma a quel punto, cassando pure il referendum istituzionale del ‘46 nel rispetto di un copione tutto tardo-medievale, perché non incoronarlo come monarca assoluto e condottiero supremo? Potremmo così anche noi, come nel ‘39 gli inglesi, ascoltare per davvero (alla radio, in tv e, stavolta, anche sul web) un chiaro, sincero e perentorio discorso del re. Finalmente, da parte sua, senza più tanti pudori e senza troppe finzioni. Sempre che nel frattempo non arrivino i Ciompi. 

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