Non costa molto un biglietto al cinema. Poca spesa, e ci facciamo quattro risate. Il bisogno (il desiderio, la volontà) di ridere è il sentimento più diffuso, infatti i nuovi film comici vengono annunciati con campagne pubblicitarie martellanti. Pochi decenni fa il pubblico aspettava i film di Fellini, Antonioni, Pasolini (recentemente definito un dilettante) e tutti quei registi che avevano qualcosa da dire e avevano uno stile per dirlo, e il pubblico aspettava quelle opere per discuterle. Erano autori, avevano ognuno una propria estetica, una educazione visiva, fotografica, cinematografica e letteraria. Alcuni più intellettuali, altri più popolari, ma agivano sempre con l’intelligenza e la dignità di servirsi del mercato, perché diventare servi del mercato a loro sembrava poco dignitoso, anzi, veramente infame. Quegli autori non ci sono più, ma non sono stati sostituiti da altri autori (tranne qualche sporadica eccezione, Nanni Moretti e pochi che si potrebbero contare con una mano). Un mondo di epigoni, di orecchianti o di maldestri copisti, di imitatori “del canto di tutti gli uccelli” (come scrive Volponi nel suo Il pianeta irritabile). “Simulavo la sensibilità di altri scrittori” : dice un personaggio di Philip Roth. Questo nei casi migliori. Poi ci sono i film attesissimi dei comici, lanciati anche dai telegiornali “nel mercato sottostante”. Persone simpatiche, che per cinque minuti vi fanno davvero ridere, eppure in questi film diventano degli autentici idioti, incapaci di inventarsi una trama credibile, di imbastire un dialogo non parrocchiale, di tenere desta l’attenzione almeno fino alla fine del film, mentre lo spettatore si sforza di ridere per giustificare la poca spesa. E nemmeno sanno recitare. E vanno nei vari talk show dove straparlano di film, recitazione, sceneggiature. Analogamente avviene in ambito letterario, con meno visibilità e identica sottomissione al mercato: che non sarebbe una brutta parola se non fosse un pericolosissimo piano inclinato, dove si scivola inesorabilmente verso il basso, sempre più basso. Forse anche le società che ci hanno preceduto celebravano le mediocrità. La differenza è che quel bambino della fiaba di Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore, oggi non ha più la forza di dire “il re è nudo”, anzi comincia tristemente a pensare che potrebbe essere un vestito, più o meno.

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