I gelsi bianchi (Morus alba) sono originali dell’Asia centrale e orientale (Cina e Corea). Le infruttescenze, more, sono commestibili; spesso sono bianche, a volte rosee o violacee. Ma non è come alberi da frutti che sono stati importati in Europa nel nel XV secolo – i loro frutti sono di scarsa rilevanza -, ma per il fogliame. Le morbide foglie venivano utilizzate come alimento principale dei bachi da seta, originari, come loro, dell’Asia orientale. 

Nel territorio del mio comune, Fano, sin dal Settecento c’era un fiorente mercato dei bozzoli. Senza i gelsi, o “mori” – così venivamo chiamati dai contadini – non ci poteva essere la bachicoltura.

Nei piani superiori delle case coloniche vi era la bigattiera per l’allevamento dei bachi da seta, una specie di letto a castello costituito da diversi ripiani. 

Le uova di baco da seta venivano raccolte alla fine dell’estate e conservate in luoghi freschi e asciutti fino alla primavera successiva. In aprile le uova si schiudevano e i bachi potevano essere alimentati con le foglie di gelso, che spuntavano dai rami proprio in quel periodo. I bachi nel corso del loro sviluppo – che durava una quarantina di giorni – effettuavano quattro volte la muta; dopo l’ultima i bachi raggiungevano le massime dimensioni. Questo periodo era il più impegnativo per l’allevatore: occorreva raccogliere una quantità enorme delle foglie di gelso, somministrarle quattro o cinque volte al giorno, ogni uno o due giorni cambiare la lettiera, dove si accumulavano in poco tempo gli escrementi dei bachi, le loro spoglie ed i bachi morti, per evitare che divenisse focolaio di infezioni. Il rumore prodotto da migliaia di ganasce che divoravano le foglie era simile a quello prodotto dalla pioggia¹. 

Quando si accingevano a costruire i bozzoli di seta intorno al proprio corpo, i bachi venivano trasferiti sui rami di fascine. Poi, per ottenere la seta, i bozzoli venivano raccolti e sottoposti a un processo di lavorazione che prevedeva il lavaggio in acqua bollente (per uccidere i bachi all’interno), seguito dalla filatura manuale dei fili di seta. 

In Italia la bachicoltura era diffusa nelle campagna fino agli anni ‘50. Ora sembra scomparso qualsiasi interesse agricolo verso i gelsi. 

Anche se quel mondo è perduto e i gelsi sono ormai solo un residuo colturale, essendo una specie longeva, sono ancora largamente presenti nelle campagne, sia in filari che (isolati) presso le case di campagna. Le stagioni continuano a percorrerli, i loro vasi a riempirsi di nuova linfa. E a loro non dispiace mantenere integro il fogliame. 

Sono andato alla ricerca di quelli centenari (ma non solo) presenti nel territorio del mio comune e dintorni, anche facendo tornare alla mente gelsi in cui mi ero già imbattuto, come il doppio filare in zona Metaurilia, lungo la strada che unisce quella di Ponte Alto con la Statale Adriatica, a solo 350 metri dalla linea di costa.

Mi sono ricordato di uno dalle dimensioni ragguardevoli lungo il ciglio della strada comunale che percorre la valle del Rio della Gazza, affluente del Torrente Arzilla, nei pressi di Carignano. L’ultima volta che mi ero soffermato a guardare quel tronco fortemente inclinato verso il campo era la mattina di Natale 2016; il gelo si spandeva nei campi, l’erba era ricoperta di brina.

Lo ritrovo, ma qualcosa è cambiato, ci sono dei pali per sorreggerlo.

Aiutato da mia moglie, con la fettuccia metrica ne misuro la circonferenza (a petto d’uomo): è di 4,40 metri. In quel momento varca il cancello la proprietaria del terreno di fronte. Ci dice che il suo anziano padre se lo ricorda così fin da bambino: «Le sue more sono dolcissime, in molti vengono a raccoglierle». Faccio una ricerca sul web e trovo che nel 2018 quel gelso era crollato a terra.

Il fusto non aveva retto alla terra molle. Era caduto ma non schiantato, la maggior parte del suo apparato radicale non si era spezzata. Certo in quelle condizioni avrebbe avuto i giorni contati, ma qualcuno si era impietosito, non voleva che il gelso fosse consegnato al suolo, voleva ritirarlo su; ma rialzare un fusto pesante diversi quintali non è un’operazione semplice e priva di costi. Ma lui non si dette per vinto e per raccogliere i fondi necessari lanciò una sottoscrizione: “Un maestoso Gelso di quattrocento anni [probabilmente l’età reale è inferiore, NdA], in località Gazza di Carignano (Fano PU), a causa del maltempo e del cedimento del ciglio stradale, è caduto su se stesso. Fortunatamente le radici compromesse sono poche e la maggior parte è rimasta interrata e ben ancorata, continuando a nutrire la pianta. Ci stiamo adoperando per raddrizzarlo e riporlo a dimora. Per poter dire che un pezzetto di nuova vita di nonno Gelso è anche merito tuo, ti chiediamo un contributo. GRAZIE”²

Diverse persone aderirono alla sottoscrizione versando un contributo. Così poterono tirarlo su e sistemarono dei pali per sorreggere il peso del fusto. 

Dalla mia memoria emerge un altro gelso secolare presente nelle campagne di Carignano, in località Beltrame. Si trova nei pressi di una casa di proprietà comunale adibita a rifugio degli scout, non a caso, denominato “Grande Gelso”. Per raggiungere la casa occorre percorrere una strada poderale; avevo scoperto quel gelso circa 25 anni fa quando accompagnai mio figlio – a quei tempi giovane scout – che doveva trascorrere un breve soggiorno in quel rifugio. 

Sono tornato a trovarlo, è come me lo ricordavo, spicca per il tronco aperto da una larga spaccatura fin da terra, per tale motivo non è possibile misurarne la circonferenza.

È di 2,85 metri, invece, la circonferenza di un altro gelso presente nei pressi della casa ma notevolmente più piccolo. 

Un altro gelso secolare lo ritrovo poco fuori dal territorio fanese, in comune di Cartoceto, è nel giardino di un agriturismo, anche questo non a caso, denominato “La locanda del Gelso”.

Io e mia moglie entriamo nel giardino dell’agriturismo per misurare la circonferenza dell’albero. Una ragazza si affaccia alla porta della locanda, ha il grembiule da cameriera. «Posso misurare il gelso?» le chiedo. «Certo. Le mando mia nonna». Abbiamo appena terminato di misurare la circonferenza – è di 3,43 metri -, che arriva la nonna. Ha la cuffia e la paranansa [indumento legato ai fianchi a protezione del bacino e delle gambe]: è la proprietaria/cuoca dell’agriturismo. Parla con piacere del gelso (e degli alberi in generale). Ha comprato la casa 30 anni fa. Ci fa notare un tratto di corteccia segnata: «È una vecchia ferita causata da una bomba durante la Seconda Guerra Mondiale». Di alberi quando ha acquistato la casa c’era quasi solo il gelso. Racconta che i precedenti proprietari avevano costruito un tavolo di cemento per pranzare nella bella stagione sotto la sua ombra. Quando c’è il maltempo e tira il vento lei è preoccupata per quel fusto, la cui chioma è sviluppata soprattutto nel lato rivolto verso la casa; ogni anno lo fa potare sia per ridurre il peso che per favorire la crescita di rami dalla parte dove ne è carente. Ci mostra altri due gelsi più piccoli, li ha fatti trapiantare nel giardino dell’agriturismo quando ha acquistato la proprietà; provenivano dal terreno del suocero (che era destinato ad essere venduto). «Ne dovevo portare di più», si rammarica, «uno dei due ha sofferto per il trapianto ma si è ripreso».

Non solo nelle campagne, ci sono esemplari di gelso che sono stati raggiunti dall’urbanizzazione. Le ragnatele di strade e caseggiati hanno sostituito i campi che li circondavano. Uno lo incontro di frequente. Sta nell’area verde di Casa Archilei, alla periferia sud della città. Quando nel 1989 l’Associazione Naturalistica Argonauta prese possesso della casa e dell’area circostante – di proprietà del Comune di Fano – per farne un centro di educazione ambientale, di alberi ce ne erano ben pochi: un grosso olmo tra la casa e il tracciato dell’ex ferrovia metaurense e, dall’altro lato della casa, con i tronchi molto vicini tra loro, un altro olmo e lui, il gelso.

Ha una circonferenza di 2,80 metri. Ora si trova in un paesaggio profondamente mutato; l’ex coltivo aperto è diventato un bosco. Il tronco del gelso sta all’interno di quel piccolo bosco urbano ma la sua estesa chioma sovrasta pure il giardino roccioso a lato del vialetto d’ingresso.

Poco distante da Casa Archilei, c’è il Vallato II: la parte del quartiere urbanizzata negli anni ‘70 e ‘80. Dove si trovava la campagna sono sorte decine e decine di file di casette a schiera circondate da aree di verde pubblico. Le alberature dei campi, querce, mandorli, gelsi, noci, ecc. sono state spazzate via. Tra i pochissimi sopravvissuti c’è un gelso centenario (ha una circonferenza di 3,10 metri). Anziché far parte di un paesaggio agricolo, ora si trova in mezzo ad un prato costantemente curato, a breve distanza da file di casette a schiera.

Un tempo nella campagna intorno a lui c’era il quotidiano alternarsi di luce e buio, ora di notte i lampioni sconfiggono le tenebre. 

Sempre nella periferia sud della città, nel vicino quartiere San Lazzaro, c’è un campo “relitto”. È  un quadrato quasi perfetto con lati lunghi 80 metri. Uno confina con condomini, un altro con villette, un altro ancora con un marciapiede, il quarto con un edificio scolastico. In quei circa 6400 metri quadrati sopravvivono quattro filari di viti (più o meno integri) e una decina di alberi, non monumentali ma abbastanza vecchi per avere assistito alla trasformazione del territorio, da campagna a quartiere popoloso. La maggior parte sono gelsi, alcuni – scomparsi i filari di vite – stanno isolati in mezzo all’incolto, altri, insieme ad un paio di mandorli ed a una roverella, svolgono ancora il ruolo di tutori ai frammenti di quella vigna assediata da case e palazzi.

Note

(1) Allevamento del baco da seta di Celso Mei.. 

https://www.lavalledelmetauro.it/contenuti/carnevale-feste-tradizioni-lavoro/scheda/7400.html

(2) https://buonacausa.org/cause/salviamo-il-gelso

Didascalie foto:

01 – Bigattiera durante la sbozzolatura, Fano, 1915 (archivio S. Maggioli/Fondazione Carifano)

02 – Doppio filare di gelsi a Metaurilia (Fano), settembre 2024

03 – Il gelso bianco in località Gazza (Carignano di Fano), dicembre 2016

04 – – Il gelso bianco in località Gazza, settembre 2024

05 – Il gelso bianco in località Gazza, 2018 (da: https://buonacausa.org/cause/salviamo-il-gelso)

06 – Il gelso bianco in località Beltrame (Carignano di Fano), settembre 2024

07 – Il gelso bianco della Locanda del Gelso (Cartoceto), settembre 2024

08 – Olmo e gelso bianco a Casa Archilei (Fano), settembre 2024

09 – Il gelso bianco del Vallato II (Fano), settembre 2024

10 – Gelsi e filari di viti all’interno del quartiere San Lazzaro (Fano), ottobre 2024

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