Finalmente il coraggio della verità. La crisi trentennale del sistema politico italiano è arrivata al suo epilogo. Ce lo spiega lucidamente un’autorevole e raffinata politologa su un quotidiano con pochi mesi di vita, ironia della sorte, proprio nel giorno di una ricorrenza assai controversa: la “giornata del ricordo”. Anche se, per carità di patria, il pensierino finale dell’editoriale è tutto rivolto ad un ipotetico, “fantasioso”, futuro, convenzionalmente definito il “dopo Draghi”. Ma qual è la terribile verità rivelata dall’autrice? Il demiurgo, arrivato in soccorso di un paese percorso da convulsioni indecifrabili, flagellato dalla pandemia e sull’orlo dello sfacelo economico e civile, non dovrà tanto, per formare un nuovo governo, trovare una sintesi tra i partiti: questi ormai esistono solo come estemporanei aggregati elettorali, contano quasi niente, hanno opzioni programmatiche superficiali e facilmente tra loro assemblabili (nel nome della Santa Europa) come stiamo vedendo in questi giorni tra Bruxelles e Strasburgo. No! La sintesi andrà trovata con le forze economiche e sociali non più interessate a delegare la rappresentanza dei loro interessi a formazioni politiche insignificanti bensì impegnate ad assumersi in proprio la responsabilità di quegli interessi al tavolo della trattativa per il nuovo governo. E’ la definitiva sepoltura della politica come idea-progetto-confronto-conflitto-mediazione ed è l’affermazione definitiva, irreversibile, dell’economia come unico luogo deputato al governo della Res-publica. E, per segnare questo passaggio definitivo (a “miglior vita”), dell’interesse generale viene ovviamente chiamato (vocato) il principale artefice e garante del “trapasso” del comando, a livello europeo, tra i poteri politici, ormai simulacri di se stessi anche nella “cattivissima” Germania, e i poteri economici, soprattutto, finanziari: il deus ex machina Mario Draghi! Questo è il problema, altroché la solita, stantia, penosa discussione da bar (e da talk show) sul mancato Conte-ter (chissenefrega!) e sul “ritorno meritocratico delle competenze”, temi prediletti dai tifosi da tastiera, di città e di campagna. 

Come deve ammettere la stessa politologa non siamo tanto al superamento del “maledetto” ‘900, degli “immortali” principi della Rivoluzione francese, degli stati nazionali, della rinascita umanistica del XV e del XVI secolo. No! Siamo al ritorno tardo-medievale del trecento fiorentino, al Podestà chiamato (vocato) dall’esterno per “pacificare” e “bonificare” una realtà – siamo ben prima del suffragio universale e della rappresentanza politica – tenuta precariamente in piedi da “un patto tra corporazioni e gruppi disomogenei spesso nemici”. E’ finita l’epoca della “traduzione politica degli interessi”, ognuno pensa per sé e “tutte le parti [economiche] vogliono stare al gioco”.

Allora le corporazioni, ora tutti i grandi aggregati d’interesse (sociali, economici e territoriali) in cui la realtà neo-corporativa del paese-Italia si sta decomponendo, vorranno tenacemente partecipare al “banchetto” degli esuberanti fondi europei (o Recovery fund, che fa più figo). Alla fine è facile prevedere il definitivo tramonto della democrazia repubblicana e della Costituzione in quanto i pilastri politici su cui entrambe dovevano crescere e consolidarsi – partiti e corpi intermedi di varia natura, portatori comunque di un interesse generale – ormai non esistono più. Ma, di fronte a questo assetto neo-corporativo della società italiana (ed europea) in cui deve regolarmente essere evocato/invocato il demiurgo per risolvere le crisi sempre più incombenti, è proprio indispensabile andare ancora a votare per scegliere “nani e ballerine” (copyright by Rino Formica) e “scimuniti” (copyright by rivista Contropiano) che non servono a nulla, quando potrebbe bastare affidarsi regolarmente a un Podestà forestiero? Questo almeno fino all’arrivo dei Ciompi che, a Firenze nell’estate del 1378, irruppero a Palazzo dei Priori (l’attuale Palazzo Vecchio) senza andare troppo per il sottile.

Bisogna fare attenzione perché, a forza di marcire nell’inedia e nella stupidità, succede che, a volte, alla storia piace anche ripetersi, così, giusto per dare a tutti la sveglia.

(fotografia di Giorgi Iremadze)

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