Mentre percorro strade di campagna, il mio sguardo esclude ciò che lo disturba: nuove costruzioni, elettrodotti, campi fotovoltaici; è attirato invece dalle vecchie case coloniche ormai disabitate.

Non tanto da quelle sul ciglio della strada, da quelle disperse in mezzo ai campi.

In alcune il viottolo che le congiungeva al mondo è inerbito per il mancato passaggio, in altre è stato cancellato dall’aratro. Ora sono isole in un mare di terreno coltivato.

Solo i mezzi agricoli le passano vicino; ma per chi guida sono solo ostacoli che impediscono di tirare dritto.

Un tempo da quelle pareti, dall’aia, provenivano il suono delle voci, il profumo del cibo, l’abbaiare del cane contro gli intrusi.

A volte a breve distanza c’è un pozzo, un gelso, un fico, un noce, vestigia di quando erano abitate.

Dopo l’abbandono hanno conosciuto ladri e vandali; se ne sono andati mobili e suppellettili. Ma questo tanto tempo fa, ora sono gusci vuoti, tutto è stato portato via, non c’è più nulla a ricordare la vita quotidiana che si svolgeva in quelle mura.

Abbandonate dagli uomini, ad abitarle, finché il tetto regge, civette e barbagianni.

Alcune all’esterno sono spoglie, come i campi intorno appena lavorati, altre sono assediate da edera, rovi ed alberi, a cui solo contro quei resti l’aratro concede di mettere radici.

Là, tra l’erba alta, dove un tempo c’era l’aia, dove razzolavano galline, ora i fagiani possono trovare rifugio.

Capita che il mio sguardo torni a posarsi sulla stessa casa in stagioni diverse o a distanza di anni. Nel primo caso variazioni cromatiche di ciò che le circonda (il colore della terra nuda, il bianco di una spruzzata di neve, il verde del grano, che poi diventa dorato), di peggioramenti della struttura nel secondo.

In quelle che raggiungo, quando varco l’ingresso, mi accoglie il degrado: gli ultimi rattoppi, l’essere diventate disordinati depositi agricoli prima dell’abbandono definitivo o coppi, mattoni e travi che ingombrano il piano terra, il caos del tetto che ha ceduto trascinando con sé altri pezzi della casa.

Le più belle sono le altre, quelle che non ho mai raggiunto.

 

   

 

 

 

 

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