Forse non si fa granché per i grandi personaggi della nostra storia. E ne abbiamo tanti. Un Dante raccontato da Boccaccio con Pupi Avati come regista potrebbe davvero incuriosire. Sono andato a rileggermi anche la Vita nova. E guardo il film di notte, da solo. Vediamo che cosa mi racconta Pupi Avati. Risultato? Boh. Del film, così come è stato fatto, non capisco la necessità, e neppure la grammatica. Nel primo caso, posso pensare ad una pedagogia populistica, sulla linea governativa attuale, nel senso: siamo italiani, la nostra cultura nasce qui e possiamo esserne fieri perché nasce già su livelli altissimi. Nel secondo caso, posso pensare ad una sorta di realismo magico, che in Italia molto facilmente (Dante direbbe leggeramente) sconfina nell’agiografia.

Da bravo spettatore sono rimasto fino alla fine, ma come persona che poi ci pensa su, continuo a non capire la cura estrema dei dettagli realistici per poi “il miracol mostrare” della poesia di Dante. La scarsa luce degli ambienti, l’antropologia medievale, e le scene visionarie, direttamente dalla Vita nova, precise precise, e infine le stelline finali, da Giotto e dall’agiografia…

Poesia delle immagini? Troppo esibita per essere poesia. Avrei preferito che il narratore non indossasse i panni di Giovanni Boccaccio ma quelli di Pupi Avati. Che ne pensa il regista di Dante? Che è un grandissimo poeta, e siccome lo sanno tutti, facciamo un compendio didattico. Grazie. Ma che tempi sono questi, in cui si riscopre il gusto dell’agiografia? D’accordo, si è evitato il mistico (e purtroppo anche la Divina Commedia) e il papato e la chiesa vengono mostrati per quello che sono stati, ma Dante e i figli e la moglie, come hanno vissuto quei giorni? Il realismo magico ce l’avrebbe mostrato, l’agiografia no. A voler essere cattivi, pare una specie di Bignami d’autore, approssimativo e di classe (soprattutto per le luci e i dialoghi), ma di pensiero, neanche l’ombra.

“Conosceva i nomi di tutte le stelle”: detto da un popolano, è una frase molto bella, perché fa intendere come ingenuamente si può avvertire la grandezza di un intellettuale, ma ripetuto come finale del film, come clausola, è di una pochezza intellettuale che Dante non meritava. E compaiono anche le stelline infantili, delicatamente frizzantine. Che nostalgia del Dante vero! Viene voglia di rileggerlo per cancellare le immagini del film. Bravissimi gli attori, ma che banalità bassamente teatrale l’insistenza degli sguardi. Ma che siamo, scemi?

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