L’autore olandese Cees Nooteboom è un grande viaggiatore, un esploratore di culture lontane che da più di quarant’anni, d’estate, si ferma a Minorca, una piccola isola delle Baleari, dove ha una casa con giardino. La sua prosa e in generale la sua arte sono una ricerca continua di esperienze che si alimentano di incontri, con le persone e con i paesaggi. “L’anno scorso – scrive – dopo un viaggio nel deserto di Atacama, a nord del Cile, decisi di piantare un po’ di cactus nel mio giardino spagnolo.”
Dice che è difficilissimo descriverli, i cactus, soprattutto, come suggerisce Leopardi, descriverli in modo naturale. E lui ci prova ma “come si fa a descrivere un oggetto che è verde, ha perduto la sua euclidea forma conica a causa di una quantità di tacche profonde e semplicemente se ne sta lì attaccato a terra, pericoloso e possente, cercando di dimostrare sa il cielo cosa con quegli aculei che gli crescono dappertutto e che in punta sono di un profondo rosso cremisi?”. Ecco che la scrittura diventa un luogo di incontro, di incontri.
Non c’è bisogno di allontanarsi di centinaia o migliaia di chilometri per scoprire mondi singolari, ma forse si può farlo soltanto perché le esperienze dei viaggi convergono in quel giardino minorchino e inoltre proseguono in cunicoli spazio-temporali nella sua libreria. Così è possibile che questa volta Cees Nooteboom abbia scritto un libro di viaggi con epicentro la sua casa con giardino nella piccola isola spagnola: 533, il libro dei giorni (Iperborea 2019, traduzione di Fulvio Ferrari, uno dei migliori traduttori italiani). Un libro singolare nonostante il riferimento immediato, come genere letterario, potrebbe essere il diario. Più che un diario è uno zibaldone. Nooteboom esplora il suo giardino e scopre che non è un rifugio, una pausa, un buen retiro (anche se in parte lo è), ma un piccolo grande mondo che contiene storie vegetali e animali, e che promuove pensieri e altri itinerari, nei ricordi e persino nei sogni.
Le note naturalistiche si alternano infatti alle meditazioni, alle discussioni letterarie, alle memorie, ad altre affascinanti e inquietanti presenze: i suoi libri. “Quando torno, e non ho ancora tolto i libri nuovi dalle valigie, vedo quelli dell’anno passato e, a volte, sono disposti in modo da ricordarmi per cosa volevo usarli”. Lo Zibaldone di Leopardi, Kafka, Gombrowicz, il diario di Max Frisch, il saggio di Borges Il pudore della storia, sospingono altri percorsi di ricerca, simili a quelli di Montaigne, ma con particolare attenzione anche al mondo naturale, che non parla ma chiede di essere interpretato. “La tartaruga aveva cominciato a mangiare gli acini da sotto. Qui tutti mangiano tutti e tutto, ma quell’uva era mia. Di colpo sono diventato anch’io parte dei tutti e del tutto. Ho visto che aveva ragione: l’uva era matura, dovevo coglierla”. La prosa di Nooteboom è sensibilissima, vivace, ironica e soprattutto mai isolata dai problemi di una contemporaneità caotica che, all’opposto dello scrittore olandese, sembra viaggiare senza vedere, e consumare senza capire.