Case finali di Gabriele Zani è da poco uscito per le edizioni Interlinea di Novara, con una nota introduttiva di Giampiero Neri. E’ un libro diviso in un prologo e quattro parti. Un libro di poesia, nonostante la forma in prosa sia preminente. Giampiero Neri non è soltanto l’autore del viatico, ma anche il maestro che Gabriele Zani ammira. Tuttavia il tono e la forma di questi testi non devono ingannare, perché Zani ha una sensibilità completamente diversa, in questo libro come nei precedenti (la sua bibliografia si può consultare tra gli autori di filobus66).

Forse in questo libro, ancora di più, Gabriele si mette a nudo. Le sue confessioni cominciano con i ricordi più vivi e più lontani, dove sia in versi che in prosa sceglie una lingua colloquiale e dimessa, precisa e senza pretese, perché è la voce di chi vuole, come dice Neri, “aderire al reale”. “Detto in italiano cordiale”, dice Zani. Sceglie un grado zero di letterarietà e lì costruisce i suoi ricordi, le sue confessioni, con una intonazione lirica appena percepibile, che poi sale nella seconda sezione e diventa, mantenendo le stesse sonorità, struggente. Quello che avviene nella terza parte è originale, infatti qui Gabriele Zani ci mostra un suo diario di lavoro, cioè come riflette sulle opere e sugli autori, e soprattutto sul linguaggio. L’ironia e l’autoironia sono evidenti, eppure il fatto che questo settore sia annesso alla poesia è sorprendente, lui stesso lo premette, quasi ridendo di sé: “Scrivo principalmente poesie da una trentina d’anni, per cui si potrebbe pensare che so quello che scrivo”. Con un candore che è anche una esibizione di concretezza, umiltà vera e acume, Gabriele mostra le sue carte, il suo laboratorio. Ma soprattutto, quello che non dice, tra le righe dei suoi appunti lessicali e culturali, è che anche questo indagare è poesia. Non nasconde le tracce dei suoi percorsi. La voce non cambia di molto rispetto ai versi e le illuminazioni sono le cose che porta con sé, nel suo zaino. A volte profonde, a volte semplici, a volte, spesso, ironiche. Come la prosa-poesia che chiude il libro, e che potrebbe essere scelta come immagine del poeta nella società contemporanea: una tollerante solitudine.

 

 

 

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