La partita a Cruciverba è una consuetudine. Io e mia moglie ci giochiamo quasi ogni pomeriggio. Non sto parlando dell’enigmistica ma di un gioco da tavolo. Consiste nel comporre parole utilizzando le lettere a disposizione e quelle già esistenti sul piano di gioco. Ci giochiamo così spesso e da così tanto tempo che molte lettere sono consumate e poco leggibili. Quando ci sono dubbi sulla validità della parola, ci affidiamo al Devoto-Oli, ma siccome il dizionario è stato pubblicato una quarantina di anni fa – è vintage come il nostro gioco da tavolo -, restano dei dubbi, soprattutto con i neologismi.

Dal giardino il gatto sente le nostre discussioni e miagola.

Interrompiamo il gioco per farlo entrare; lui prontamente sale sulla tavola passando pericolosamente sulla scacchiera dove sono disposte le parole composte. Per fortuna il suo passo è felpato e fa solo traballare le lettere di plastica, senza alterarne l’ordine.

«Bravo che sei venuto ad arbitrare, avevamo bisogno di un giudice» gli dico mentre lui si strofina contro di me.

Si posa in un angolo della tavola e per un po’ ci guarda mentre proseguiamo nel gioco. Non sembra particolarmente interessato, di tanto in tanto si alza, torna a strofinarsi e, per passare da uno all’altro, calpesta nuovamente la scacchiera.

Ad un certo punto la sua coda comincia ad agitarsi nervosamente.

Continuiamo a giocare ma ora, per proteggere l’ordine delle file di lettere, il mio braccio fa da sbarramento a quelle pericolose sferzate.

Il suo sguardo si fa sempre più torvo.

Visto che non capiamo, passa dalla carota al bastone, dallo strofinarsi all’intercettare con la zampa la nostra mano quando si avvicina al tabellone per aggiungere una lettera.

La sua zampata o la nostra mano che si ritrae finisce per alterare la disposizione delle lettere. Ormai abbiamo capito, uno dei due si alza per prendere del cibo per lui.

Mentre con difficoltà ricostruiamo l’ordine delle parole sul piano di gioco riportando le lettere spostate sulle caselle giuste, il gatto mangia nella ciotola accanto a noi; il suo nervosismo si è di colpo dissolto. 

Terminato il pasto, scende dalla tavola. Per un attimo si lecca i baffi, subito dopo miagola e costringe uno dei due a rialzarsi, vuole uscire; era entrato solo per la “merendina” pomeridiana. E noi che ogni giorno continuiamo ad illuderci che ci fa visita per arbitrare la partita! D’altra parte c’è chi nel gatto vede un filosofo.

Vi amo, gatto filosofante. […] Quale grandissimo problema insolubile sarà risolto da voi che meditate dal mattino alla sera? […] tu esci la notte come un armigero pel saccomanno: amore tutte le notti, cagnare tutte le notti, urli, ladrerie… E che sei un leone?!

Ogni volta che in paese avviene qualche triste fatto, un ferimento, uno scasso, io penso sempre a te e dico: lui era fuori stanotte, il birbante!

[…] l’arola della mia cucina, rogo di questo pesce il cui odore arriva alla siepe dell’orto.

Nientemeno il gatto, lasciati i suoi studi profondi, miagola sotto la tavola. Che cerca mai […] ? Cerca l’uomo, il filosofo; cerca l’uomo che gli butti la trigliuzza.

Da La canzone della casa di Fabio Tombari, Supplemento illustrato de L’Ora, Pesaro, Agosto 1935 Anno XIII 

Didascalie foto:

1 e 2 – “L’arbitraggio” del gatto durante la partita a Cruciverba, giugno 2024

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