I soliti sproloqui mediatici a commentare l’ennesima, vuota, competizione elettorale tra ectoplasmi – i cosiddetti partiti – ridotti dal commissario della finanza globale a capo del governo ad innocui animaletti da cortile. Ma, siccome tutti “tengono famiglia”, giù tonnellate di parole, di inchiostro, di pagine digitali a ragionare sul nulla di un appuntamento elettorale per pochi intimi. La finzione permanente comincia a stancare anche chi è di bocca buona, abituato da anni a trangugiare le più pacchiane e volgari “esibizioni” di un sistema politico in avanzato stato di decomposizione. Ma se, una volta tanto, spostassimo le lenti del nostro sistema di osservazione dalle (moribonde) “forze politiche” al sempre adulato e vezzeggiato “corpo elettorale”? Forse finora lo si è fatto poco e male per la paura di scoprire cose poco piacevoli tra le pulsioni del “popolo sovrano”? O perché tanto nel “popolo bovino” c’è poco da scoprire perché – lo sappiamo dai tempi felici del Regno d’Italia – questo ha solo bisogno di qualche “erbetta” da masticare e da ruminare? Eppure osservando i dati dell’ultima competizione elettorale con un’adeguata lente di ingrandimento, senza fermarci alle banalità dei numeri dei singoli competitor, alle percentuali delle diverse coalizioni e ai flussi delle tante liste (inutili) ci sarebbe abbastanza da riflettere per capire la deriva (irreversibile?) intrapresa da una Paese ormai come “nave [solo all’apparenza] senza nocchiero in gran tempesta”. Più di trent’anni di narcosi, di “fine delle ideologie”, di “superamento dei partiti politici”, di “fiducia nella magistratura” stanno, nella sonnolenza generale, portando la maggioranza degli italiani a infischiarsene del voto ormai avviato a diventare un giochino un po’ esclusivo riservato alle persone “per bene” e, ogni tanto, lubrificato da qualche raccolta di firme digitali, così tanto per esplorare le nuove forme della democrazia (sic!!!). Non bastano più nemmeno gli effetti speciali di berlusconiana memoria per convincere il singolo cittadino, specie se a continuo rischio di marginalità sociale, ad esprimere un consenso elettorale purchessia in quanto la percezione diffusa non è tanto quella del “sono tutti uguali perché rubano” ma quella del “sono tutti uguali perché non hanno un’idea che una” e, non a caso, sostengono tutti con più o meno entusiasmo il grande condottiero della Goldman&Sachs, incoronato re qualche mese fa e destinato a diventare presto imperatore. Ma la realtà più drammatica sta tra coloro – una minoranza – che un consenso lo esprimono. Basta vedere i dati delle città, grandi e piccole, per capire che l’encefalogramma piatto del corpo elettorale ha bisogno del condottiero (locale) senza macchia (?) e senza paura (!) per sentirsi al sicuro e protetto dagli imprevisti e dalle calamità di tempi difficili. Dalla Lombardia alla Calabria, transitando lungo l’Appennino, niente più idee, niente più progetti e tanto meno passioni civili e visioni di futuro. La cosiddetta “società civile” di questo Paese è ormai senz’anima e senza cervello dopo trent’anni di oscurantismo perseguito con tenacia dall’industria culturale, dal digitale e dai media. Senza reazioni o segni di vita si ritrova dentro casa spaurita (dal virus e non solo dal virus) e allora si affida tremante e un po’ fiduciosa al piccolo/grande condottiero percepito come “l’uomo giusto al posto giusto”. In fondo quello che si cerca dalla grande Milano alla piccola Fossombrone è solo la replica del modello-Draghi affermatosi al governo della Repubblica: un uomo (maturo), buon “padre di famiglia”, lontano quanto basta dai patetici “partiti” in circolazione, possibilmente espressione del mondo dell’economia o della finanza, che sia percepito (se vero oppure no non importa) come “navigatore” dalle possibilità e qualità sconfinate e, se possibile, anche un po’ “duce”. La democrazia è ormai un ferrovecchio, la competizione elettorale un inutile ingombro. Si avvicina il primo centenario della marcia su Roma. Per qualcuno potrebbe essere l’occasione per aggiornare modalità e contenuti – nella sonnolenta indifferenza dei “cittadini democratici”- di un rinnovato regime autoritario fondato sul dormiveglia. Per gli amanti del digitale quasi un fascismo 2.0. In fondo come aveva ben capito Piero Gobetti, uno degli intellettuali italiani più lucidi del XX secolo, “il fascismo è [sempre stato] l’autobiografia della nazione”.
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