L’azzurro infinito degli alberi di Pietro Maroè (Rizzoli, 2018) riporta come sottotitolo: Storie di boschi monumentali e di piccole foreste in giro per l’Italia.

L’autore è un giovane tree-climber (o arbonauta). Insieme a suo padre e ad altri giovani ha creato una società di giardinieri che utilizzano la tecnica del tree-climbing.

Buona parte della storia racconta come questo gruppo decide di trascorrere il periodo di ferie girando per l’Italia con una precisa missione: trovare l’albero più alto d’Italia. Per misurare l’altezza degli alberi monumentali il gruppo non utilizza il laser (che per una serie di ragioni sarebbe risultato impreciso) bensì l’arrampicata fino alla cima; una volta giunti lassù calano una cordella metrica di precisione fino alla base dell’albero.

Il racconto è arricchito dalle difficoltà di rapporto dell’autore con il padre (capo della spedizione scientifica) che si sono verificate durante i venti giorni del viaggio. Risultano invece solo abbozzati i rapporti interpersonali tra gli altri partecipanti della spedizione.

Il racconto è integrato da una serie di riflessioni sul rapporto uomo-ambiente (in particolare quello con gli alberi).

Il tempo passa in secondo piano. L’albero, semplicemente, aspetta. Aspetta il momento giusto per germinare, per fare le foglie, per fiorire. Poi aspetta il momento giusto per fare i frutti e lasciarli cadere, così come per le foglie, come se anche quella che è la sua principale fonte di sostentamento fosse comunque qualcosa di effimero. Forse anche noi dovremmo prendere esempio da questi custodi dell’azzurro del cielo

Lettura scorrevole. Il libro, utilizzando la chiave narrativa, permette di scoprire alcuni dei più importanti alberi plurisecolari d’Italia e le storie che essi custodiscono.

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