4 settembre 2019

Nella piazza alta del Bastione Sangallo di Fano da quasi due ore un piccolo gruppo di persone ascolta con interesse lo scrittore pesarese Paolo Teobaldi. Sta presentando l’ultimo suo libro, “Arenaria”.

E’ un lascito alla sua nipotina, “Cosa le lascio? dei soldi? non credo”.

Le domande della giornalista Francesca Giommi (e anche quelle del pubblico che lo conosce bene) invitano Teobaldi a spaziare dall’ambiente dell’editoria – parla di paratesto, di editor, di traduzioni -, a quello del Monte San Bartolo, protagonista dell’ultima sua opera. Il tutto inframezzato dalle letture di Francesca Ferrante.

Le storie che si svolgono sul Monte San Bartolo, che un monte non è, sono suddivise in base all’altitudine; si va da cinquanta centimetri sotto il livello del mare (davanti alla falesia marina) ai quasi duecento metri.

Anche se ero già stato ad una precedente presentazione di Arenaria, anche se quel volume l’ho già letto, ascolto volentieri Teobaldi. Ci indica i suoi autori di riferimento; cita aneddoti legati al padre falegname e al nonno tipografo; parla del linguaggio che cambia: la sua nipotina, dice, vive a Londra, parla inglese, con la madre parigina parla francese, capisce l’italiano, che lingua parlerà da adulta?

Il titolo del libro lo ha scelto lui e, almeno questa volta, gli editori non hanno avuto niente da ridire. “Arenaria” è la roccia friabile che caratterizza il San Bartolo; lo sfarinarsi di questo tipo di roccia gli ricorda lo scorrere del tempo.

Lo scorrere del tempo … penso a quando frequentavo il Bastione Sangallo da bambino, tra la fine degli anni ‘50 e i primi del ‘60. A quel tempo non veniva chiamato come ora, per noi era la “Polveriera”. Allora non era aperto alla città, ma proprio perché chiuso, proibito, attirava me e gli altri bambini della “Ciociaria” – così allora veniva chiamata questa parte (povera) della città, fatta di casette a schiera e non di palazzi nobiliari che insieme alle chiese caratterizzano tante altre parti del centro storico fanese.

Da bambino m’intrufolavo nella piazza alta del Bastione dove crescevano dei vecchi pini contorti e delle macchie di rovo. Ora, anche da seduto, salvo le antiche stanze del bastione, non ci sono ostacoli alla vista; verso nord lo sguardo si apre sulle Mura (medievali e romane), sulle auto che circolano in Via Cavallotti e che da un po’ di tempo hanno acceso i fanali, sulla porzione superiore dell’Ardizio, che da quando ha cominciato a scendere il crepuscolo si è ammantata di un bel alone rossastro.

Ad un certo momento, alle 20.20, qualcos’altro attira il mio sguardo, un geco comune fa la sua comparsa sulla parete alle spalle dello scrittore. Da un po’ è stata accesa la fila di lampadine agganciata a quella parete. Al riparo in una crepa tra il tetto e il muro, il rettile dalle abitudini notturne deve avere visto delle falene attirate da quelle luci e si è portato allo scoperto.

Niccolò, mio figlio, mi aveva parlato della presenza di questa specie. In agosto lo aveva notato in due diverse occasioni, durante degli spettacoli musicali rivolti ai giovani, organizzati proprio al Bastione. Mi aveva mostrato una foto, scattata col cellulare, in cui si vedeva il geco con una grossa falena in bocca.

Io questa specie l’ho incontrata tante volte nel Sud Italia e nelle isole del Mediterraneo, ma i rinvenimenti nel territorio fanese (di gechi comuni e di gechi verrucosi) li avevo considerati frutto del loro trasporto involontario insieme a merci provenienti dal Mezzogiorno.

“La stazione ferroviaria è vicina, quegli esemplari saranno saliti su un treno in Puglia e scesi alla stazione di Fano”, così a mio figlio avevo giustificato la presenza di gechi comuni in quest’angolo di centro storico fanese.

Lui, poco convinto, mi aveva risposto: “mhmm, sarà…, non è che dipende dal fatto che voi vecchi naturalisti di sera non uscite più?”

Oggi ho potuto osservare direttamente questa specie nel centro storico di Fano, grazie allo scrittore Paolo Teobaldi, che mi ha tenuto incollato alla sedia dal pomeriggio fino alla discesa del buio; mi ha spinto a trattenermi fuori casa anche quando il fresco frizzante delle sere di settembre si faceva sentire.

 

Didascalia foto:

Geco comune (Tarentola mauritanica)

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