Risuona il timbro battuto ripetutamente sul tavolo.

Quel battere s’intervalla al pinzare di fogli, al firmare con uno scarabocchio frettoloso i moduli in duplice, triplice, quadruplice copia.

Guardo il suo viso sereno.

Lei è al di là della scritta “CHIUSO”.

Sono invece aperte altre due casse, deserta la quarta.

Anche i volti delle altre due cassiere mi sembrano sereni.

Vedo di spalle, di fronte a loro, i clienti che hanno finalmente guadagnato le casse e che restano lì inamovibili per decine di minuti.

Io sono in fila. Aspetto di potere effettuare il pagamento delle imposte.

Sento dietro di me una cliente dire ad un’altra: “Ero già passata alle 8.45, il terminale non funzionava, ci hanno mandati via, ma anche adesso ci devono essere dei problemi”.

In alto l’orologio digitale dice che sono in fila da più di mezz’ora.

A parte la suorina davanti a me che resta tranquilla tutto il tempo, gli altri clienti manifestano il proprio nervosismo girandosi di tanto in tanto, come se il tempo sprecato lì lo si potesse misurare meglio con l’allungarsi della fila che con l’orologio.

Qualche cliente preso dalla disperazione abbandona la fila e se ne va, uno bofonchiando “io c’ho il lavoro che mi aspetta”.

Defezioni che non suscitano la solidarietà degli altri clienti in fila; abbruttiti dall’attesa ed impegnati nel conto alla rovescia di quelli che si frappongono fra loro e la cassa, pensano: uno di meno.

Un funzionario seduto ad un tavolo alza gli occhi, sembra guardare la lunga fila che si è formata.

Si deve essere accorto del nervosismo che circola tra i clienti della banca, penso. Magari adesso farà giungere un altro cassiere oppure ordinerà all’impiegata della cassa chiusa di lasciare perdere ciò che sta facendo e di dedicarsi a noi.

Ma lui riabbassa il capo e torna ai suoi fogli.

Dietro alla cassa chiusa, la vestale della burocrazia continua a battere con forza il timbro, a pinzare fogli, a firmare con uno scarabocchio. Il suo viso è sereno; anche i visi degli altri bancari sembrano sereni.

Il display continua a macinare minuti. E’ quasi un’ora che sono in fila.

Il funzionario rialza il capo, riguarda la fila che ora giunge fino alla porta.

Ecco ora si attiva, farà qualcosa per noi!

In effetti si alza, viene vicino a noi ma non per rincuorarci, ha un telecomando in mano. Ha visto una cliente che, esposta alla corrente “artica” dell’aria condizionata, ha lasciato la fila per ripararsi dietro ad una colonna.

Il funzionario punta il telecomando in alto, verso il condizionatore che ci vuol fare dimenticare i trenta gradi di fuori.

Lo chiude; è soddisfatto, ora la cliente appoggiata alla colonna può rimettersi in fila.

12 giugno 2019

[disegno di Tullio Ghiandoni]

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