un brano dal racconto lungo Viaggio a Budapest di Augusto Brunori
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Solo che Duccio, mentre poteva comprendere che si fosse milanisti o si tifasse anche per Bartali, non riusciva a capire quale vantaggio vi fosse nell’essere comunisti. Di sicuro si rischiava l’inferno e la realtà dei paesi dell’Est che si poteva intuire dalle foto era triste: freddo, gente che faceva lunghe file, paesi nei quali anche la natura era stata matrigna; senza contare il fatto che le chiese erano state trasformate in granai, con la conseguenza che i ragazzi non potevano avere il cinema la domenica, la sala giochi, il campo di calcio.
La rivolta ungherese aveva investito la vita della banda nei primi giorni dell’ancora tiepido ottobre 1956; la scuola era iniziata lentamente e pigramente, la luminosità permetteva ancora di svolgere tutte le attività all’aria aperta e i compiti potevano essere svolti con tranquillità dopo il tramonto. L’Ungheria era là, sola, a lottare contro l’assedio dei carri armati sovietici; una roccaforte che non si sapeva quanto avrebbe resistito; ma i ragazzi erano convinti che, anche se avesse ceduto, il suo sacrificio non sarebbe stato inutile. Anche Fort Alamo, distrutto e ridotto a un cumulo di rovine fumanti, era diventato il simbolo della riscossa, perché, come la storia e i film avevano dimostrato, altri trapper avevano raccolto la bandiera di David Crockett e ricacciato il sanguinario generale Santa Anna al di là del Rio Bravo. L’Ungheria aveva la stessa situazione logistica di Fort Alamo, punta avanzata dello schieramento anticomunista, accerchiata da forze dieci volte superiori. Sarebbe arrivata in tempo la carovana dei rinforzi?
Quel pomeriggio la discussione della banda era proprio sull’arrivo dei rinforzi: in quale numero, con quante armi. Meglio i paracadutisti o i soldati a cavallo? Duccio aveva suggerito, come indubbia sorpresa, un convoglio di canoe lungo il Danubio, suscitando l’ammirazione degli altri per l’alto valore strategico della proposta. Solo Canapino, il ragazzetto biondo che portava sempre calzettoni rivoltati all’ingiù, uno degli ultimi ad essersi aggregato al gruppo, non partecipava alla discussione, anzi sembrava infastidito. L’atteggiamento non aveva destato sospetti: non a tutti piaceva la politica, argomento riservato ai grandi e sul quale all’interno della banda vigeva una stratificazione anagrafica: i più piccoli ascoltavano solo, gli altri potevano discutere e intervenire; la linea politica era sempre quella del capo.
Riposavano dopo aver giocato a pallone, seduti tra i ciuffi d’erba del campetto, e la questione dei rinforzi serviva a ingannare il tempo.
– Quelli sono dei controrivoluzionari.
La frase, uscita dalle labbra di Canapino, stupì tutti. Parole nuove e sospette.
– Cosa sono? Contro … controrivoluzionari? Ma contro quale rivoluzione?
Canapino, stringendo con le mani i risvolti dei pantaloni e guardando in basso, disse:
– Quelli là, quelli che per voi sono eroi, sono elementi borghesi e reazionari che vogliono distruggere le conquiste socialiste e democratiche di quel paese. Sono i complici dell’imperialismo, che dal canale di Suez a Budapest mostra la sua vera faccia …
Tutta la banda parve colpita al viso da una frustata.
– Ma cosa stai dicendo? Cosa c’entra l’Ungheria con Suez? Là ci sono gli arabi, è una questione tra loro, e poi cosa vuol dire controrivoluzionari? Quale rivoluzione c’è stata a Budapest? Sono arrivati i russi con i carri armati approfittando del fatto che gli americani erano impegnati contro tedeschi e giapponesi. Hanno oppresso quel popolo, altroché conquiste democratiche.
Canapino se ne stava muto, il volto indurito e gli occhi rivolti in basso, con l’aria risoluta di chi si è liberato di un peso. Non rispondeva agli amici che gli si erano stretti intorno e lo incalzavano con le domande.
– Chi ti ha detto queste cose? Dove le hai lette?
– Guarda, stai attento, se hai comperato l’Unità lo devi confessare al parroco. Non lo sai che i russi sono peggio dei pellerossa? Non fanno prigionieri e uccidono anche donne e bambini.
Accerchiato, con il fiato dei compagni addosso, Canapino si era trincerato in un silenzio corrucciato; non controbatteva gli argomenti, chiuso in sé stesso, cercava una difesa disperata.
– Me l’ha detto il mio papà – esclamò alla fine – e a lui glielo hanno riferito in sezione.
– Quale sezione, chiese sospettoso Duccio.
– Quella del PCI, fu la risposta, che suonò come la confessione di un delitto. La banda smise di fare domande e un gelo improvviso scese su tutti. Il gruppo si sciolse da Canapino, lasciandolo solo.
– E’ una spia, un infiltrato. A me non è mai piaciuto, fin dal primo momento.
– Uno come lui sarebbe capace di farci un autogol o di rivelare al vigile dove nascondiamo la polvere da sparo per i botti.
Il capo annuiva in silenzio. Stava con le braccia incrociate, lo sguardo rivolto lontano, oltre la siepe di rovo e di acacia.
– Come è stato possibile? Su quanti di voi posso contare? Devo sospettare di tutti?
La banda ascoltò il capo, ad occhi bassi. Ognuno si sentiva in parte colpevole. Mancata vigilanza. Nessuno difese Canapino. L’essersi battuto con coraggio contro altre bande, le scorrerie nei frutteti vicini, tutto era stato dimenticato.
– L’avrà fatto apposta. Non voleva destare sospetti. Vi ricordate il film Stalang 17? Di tutti gli americani prigionieri dei tedeschi quello che sembrava il migliore alla fine si scopriva che era un traditore, quello che avvisava il comandante del campo di concentramento dei tentativi di fuga.
– Ora basta chiacchiere, tagliò corto il capo.
Era compito del capo comunicare la loro decisione a Canapino, che era rimasto, ai bordi del campo, chiuso in una indifferenza sdegnosa. A Duccio, mentre osservava il capo avvicinarsi all’espulso, pareva di rivedere la scena del film in cui Buffalo Bill, prima del duello finale con Mano Gialla, si avvicina al capo Cheyenne per invitarlo alla ritirata.
Da lontano videro i due parlamentare senza alcun segno di ostilità : si tennero a distanza l’uno dall’altro, poi ognuno girò le spalle, senza darsi la mano. Il capo colpì con un calcio violento un barattolo vuoto. Gli uccelli volavano bassi tra gli alberi, cercavano un rifugio per la notte: l’aria si era fatta fredda e tagliente; solo adesso si accorgevano che era cominciato l’autunno.