La terrificante guerra mondiale si è conclusa da appena due anni e già tutti ricominciano a odiare. L’odio è onnivoro, si nutre di qualsiasi idiozia e pretesto, divora ideologie e religioni e le converte in odio, non arretra di fronte al genocidio né di fronte a qualsiasi disumanità. Eppure la guerra è finita. Ma è finita davvero? O non è mai finita e soprattutto può riaccendersi in qualsiasi momento?
Questo libro della scrittrice e giornalista svedese Elisabeth Åsbrink (1947, traduzione di Alessandro Borini, Iperborea 2018) è diviso in dodici capitoli corrispondenti ai mesi dell’anno, più un inserto centrale che contiene la storia della sua famiglia: “I giorni la morte”. A sua volta ogni capitolo si suddivide in paragrafi che raccontano quello che succede nelle varie città e paesi del mondo e attraverso questi frammenti le storie individuali e le grandi storie compongono un disegno degli avvenimenti, come se una lente potesse mettere a fuoco i personaggi e le loro idee e intenzioni spostandosi di volta in volta nei luoghi dove accadono, ma l’impressione finale viene espressa così dalla stessa autrice: “Forse non è l’anno che voglio ricomporre. La ricomposizione riguarda me stessa. Non è il tempo a dover essere tenuto insieme, sono io, io e il dolore frantumato che provo e che aumenta sempre di più. Il dolore per la violenza, la vergogna per la violenza, il dolore per la vergogna”.
Il libro è molto documentato, e la massa ingente dei documenti consultati viene elencata in appendice, ma i documenti bisogna saperli scegliere e interpretare, e poi raccontare cercando di non smarrire il loro senso non solo storico ma sociale, politico, morale, e in primo luogo umano, come quel personaggio, Raphael Lemkin, che attraversa tutto l’anno cercando con ogni mezzo di far comprendere e legalizzare il concetto di crimine contro l’umanità, di genocidio.
Conclude così la Åsbrink: “Tra le conseguenze della violenza c’è che le persone che vivevano prima di me non ci sono più, che i ricordi vengono annientati, che l’intero universo viene sepolto sotto palazzi fatti esplodere. Il dolore si tramanda, in un flusso costante che passa dall’ordine al disordine, ed è impossibile che torni indietro. I ricordi sono là, li vedo nell’oscurità, sotto la pioggia. Sono la mia famiglia. Il buio la mia luce”.
Il presente non è diverso dal passato, per quello che concerne l’odio. Questo libro è inquietante, sotto questo aspetto. Infatti è utile per riflettere sull’oggi oltre che sul 1947.