La vita e l’attività di Giuseppe Bonura (Fano, 25 dicembre 1933 – Milano, 14 luglio 2008) si possono dividere in due periodi nettamente distinti, il primo – in qualche modo – propedeutico del secondo. Dalla nascita fino agli inizi del 1961 il fanciullo e poi il giovane Bonura vive e agisce, gioca, si diverte, e considera la vita proprio come gioco e libera ricerca del piacere e della felicità. Dal 1961 in poi vive e scrive, cessa di agire. La scrittura diventa il suo nuovo modo di agire. È un agire di ripiego che ripercorre i desideri e gli slanci della giovinezza, ma avviliti dalla necessità del lavoro, che non è più gioco; dalla fatica di essere “maturi” e responsabili, che non è più libertà; dalla costrizione alienante dell’organizzazione sociale, che non è più piacere.

Questo, in poche parole, è il dramma dell’uomo e dello scrittore. È il percorso che lo porta dall’istintivo desiderio di felicità alla nevrosi della vita di adulto che si placa solo, a tratti, nella scrittura e nella pittura (che Bonura coltiva in parallelo). Bonura ne è perfettamente cosciente e ne parla nel suo libro autobiografico, forse il più bello della sua vasta produzione, intitolato Le radici del tempo (Roma, Avagliano Editore, 2008). Ci racconta gli anni dalla nascita al trasferimento a Milano nel gennaio 1961. L’autore dichiara che il filo rosso del libro è la sincerità. Scritto molto bene e con penetrazione psicologica e storica, ma anche con ironia e disincanto, è uno dei suoi libri più emozionanti, dove mette a nudo se stesso, il suo contorto formarsi come scrittore, i fantasmi psicologici e le nevrosi che si porta dietro.

Bonura è un ragazzino problematico, molto sensibile, che soffre nel piegarsi alla disciplina e alla repressione di ciò che gli sembra piacevole e naturale. Così nel suo animo la civiltà che reprime l’istinto di piacere, e lo fa in forme incomprensibili per il ragazzino, mette radici in forme negative e traumatiche che lo condizioneranno per tutta la vita. Istintivamente anarchico, deve piegarsi all’obbedienza. I temi della repressione, dell’alienazione, della ribellione saranno al centro di parte della sua narrativa.

Timido, alieno dall’uso della violenza, si abituerà a ripiegare su se stesso, ad evitare, aggirare gli ostacoli anziché combattere per abbatterli. Sviluppa così un ricco mondo interiore che riemergerà nella sua scrittura. Le difficoltà dell’infanzia hanno sempre un aspetto realistico e uno immaginario, soggettivo. Il ragazzino Bonura, soggettivamente, vive male la sua infanzia e comincia a vivere i contrasti e le contraddizioni esistenziali e sociali delle differenze sociali fra poveri e ricchi, fra gioco e obblighi, doveri e proibizioni; fra piacere e repressione del peccato, fra libertà e costrizione.

Già la scuola è per lui una costrizione subita, non amata. Studia male. Si riprenderà poi quando avrà una sua motivazione personale allo studio, perseguito come autodidatta fuori dai recinti scolastici. Da adolescente e giovane adulto dedica la maggior parte del suo tempo al piacere, nella duplice forma dell’amore erotico, della caccia alle ragazze, e in quella dello sport. Diventa un esperto nuotatore e per cinque anni sarà un calciatore professionista della Vis Pesaro. Ma dell’amore non gli piace la finalizzazione al matrimonio, che vede come la fine della libertà e del gioco. E del gioco del calcio non gli piace la finalizzazione alla vittoria e al successo, con ciò che comporta di agonismo e di aggressività. Gli interessa il bel gioco, non che si vinca o che si perda.

Ma la vita, a un certo punto, impone le sue necessità. Bonura deve trovare un lavoro, deve diventare “maturo”, deve assumersi le responsabilità che gli altri gli attribuiscono e che si aspettano da lui. Così sceglie di fare il giornalista e lo scrittore e a ventisette anni si trasferisce a Milano. Il suo libro autobiografico si ferma qui perché, il resto, non è più vita diretta, ma vita indiretta, riflessa nella scrittura. Nella vita di Bonura dal 1961 alla morte non ci sono più azioni eroiche e imprese da raccontare, ma tutto si può riassumere in poche date, relative al matrimonio, alla nascita dei figli, al lavoro, e nell’elenco dei titoli dei suoi libri.

La vera vita, per lui, si trasferisce nella fantasia e nel combattimento delle idee e il campo di battaglia è la scrittura, sono i giornali, sono i libri. Dal 1961 in poi – e in particolare dal 1965, data del matrimonio – vive fra casa e lavoro, fra famiglia e lavoro, una vita esternamente priva di novità e di cose degne d’essere raccontate. Ciò che c’è da raccontare, idee e fantasie, sono già nel suo lavoro di giornalista e di scrittore.

Dopo i primi anni di lavoro per giornali sportivi e di gossip, diventa redattore alla Mondadori e, dal 1968, critico letterario del quotidiano «Avvenire» in cui resterà fino al pensionamento, continuando a collaborare fino alla morte. Ed ecco un’altra significativa contraddizione: lui, non cattolico, anzi marxista sia pure molto eretico; lui che sogna una rivoluzione sociale che trasformi il mondo in un paradiso, pur non credendola possibile davvero; lui diventa un giornalista del quotidiano cattolico e deve sopportare che, per questo, tutti lo definiscano uno scrittore cattolico.

Questo grumo di contraddizioni, di situazioni alienanti e nevrotizzanti che lo portano anche a diversi disturbi psicosomatici, fra cui una pigrizia che lui stesso definisce patologica, alimenta la sua scrittura. Del resto la sua pigrizia, paralizzante quando deve viaggiare o frequentare il mondo nelle forme che il mondo richiede, scompare quando si chiude nella sua stanza di lavoro, a casa o al giornale, e la quantità degli articoli, dei saggi e dei libri che pubblica testimoniano una capacità di lavoro che non lascia sospettare nessuna pigrizia.

Come narratore esordisce nel 1966 con il romanzo Il rapporto (Milano, Rizzoli). Siamo negli anni in cui detta legge la Neoavanguardia del Gruppo ’63 e Bonura, pur non aderendo a quel gruppo, aderisce a quelle istanze e a quel clima di lavoro. Il rapporto è un romanzo sperimentale eversivo dei canoni tradizionali, strutturato in diversi livelli e di difficile lettura. Si potrebbe anche definire un romanzo contro il romanzo, cioè contro le finalità del romanzo borghese che, attraverso il racconto di una o più vicende tende a lusingare il lettore. Il romanzo borghese ha una funzione consolatoria, mentre il romanzo sperimentale mira ad averne una rivoluzionaria. Bonura stesso, nei suoi scritti di teoria letteraria, affermerà che ciò è impossibile, perché o il romanzo sperimentale non ha successo e quindi resta inutile, o ha successo e quindi ricade all’interno dell’industria editoriale e verrà ricondotto, comunque, alla funzione consolatoria alla pari del romanzo borghese.

Ma Bonura è consapevole di non avere altre armi che la scrittura e quindi scrive comunque. Nel 1968 pubblica un secondo romanzo (La doppia indagine, Milano, Rizzoli) e nel 1970 un terzo (La pista del Minotauro, Milano, Rizzoli). Entrambi sperimentali e di difficile lettura, specialmente il terzo, in cui il materiale di un ipotetico romanzo si offre al lettore su diversi piani e i protagonisti sono evanescenti e intercambiabili. È un po’ come se il lettore dovesse comporre un puzzle senza avere un disegno di riferimento e senza sapere se le tessere di cui dispone sono sufficienti o no, se sono tutte delle stesso disegno o no, se un disegno qualsiasi esiste o no.

Forse proprio perché sperimentali e difficili i tre romanzi si impongono all’attenzione della critica e hanno anche un discreto successo di pubblico. Si nota il loro carattere di indagine che si modula, per alcuni aspetti, sul romanzo giallo, senza però esserlo. Infatti l’indagine poliziesca resta in secondo piano rispetto all’indagine sociale e psicologica, che più interessa all’autore; e rispetto, soprattutto, all’indagine linguistica e delle forme letterarie in cui consiste la novità dei tre romanzi. La trama di essi non è l’intrigo della vicenda, ma quello del linguaggio, che emerge come personaggio principale del racconto.

Seguono altri romanzi, in tutto diciassette, otto raccolte di racconti e alcuni libri di saggistica, fra i quali una fortunata monografia su Italo Calvino che ha avuto quindici edizioni (Invito alla lettura di Italo Calvino. Milano, Mursia, 1972-2005), continuamente aggiornate.

Lo sperimentalismo dei primi tre romanzi via via si attenua sino a scomparire. Il quarto romanzo (Morte di un senatore. Milano, Fratelli Fabbri, 1973) è molto più vicino a un romanzo tradizionale in cui la struttura di giallo è usata come pretesto per una storia che denuncia la speculazione edilizia. Fra i romanzi successivi, ormai strutturalmente ricondotti alle forme di racconto più vicine alla tradizione, sono da citare L’adescatore (Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1975), Per partito preso (Milano, Rusconi, 1978), romanzo politico; Le notti del Cardinale. Napoleone in Italia tra briganti e amanti (Torino, Nino Aragno Editore, 2000).

Ma forse Bonura dà il meglio di sé nel racconto breve, di cui è un maestro riconosciuto. La raccolta di racconti di maggior successo è la prima, Galateo dei vizi italiani (Milano, Rusconi, 1980), che comprende una serie di ritratti di «tipi» caratteristici della nostra società. Caustici e satirici, sarcastici e iperbolici, con le lenti della parodia i racconti deformano la realtà per meglio vedere oltre le apparenze. Qui, e nel successivo volume (I satiri virtuosi. Storie di stravaganti e amanti. Milano, Camunia editrice, 1989), che presenta caratteristiche analoghe, si ha il Bonura libertino e libertario, fustigatore dei costumi e della cattiva coscienza.

Nei trenta racconti e “novelle” della raccolta La castità dell’ospite (Milano, Rizzoli, 1990), scritti in periodi diversi, troviamo quasi tutti i temi tipici di Bonura, ripresi anche nei romanzi e in altri racconti. Il vasto campionario di situazioni, come ci dice il risvolto di copertina, allinea «la crudeltà nei rapporti di coppia, la violenza e l’intolleranza sociale, la nevrosi della donna incerta tra desiderio di emancipazione e voluttà di sottomissione, lo spiazzamento dei ruoli maschili, la perversione spettacolare della politica, il dispiacere metafisico e il piacere fisico e, infine, l’ambiguità del linguaggio».

Il retroterra critico, ideologico e teorico dell’opera letteraria di Bonura lo si ritrova nei suoi articoli e saggi di critica letteraria. Ne raccolse una parte già nel 1974 con il titolo rivelatore di Tecniche dell’inganno (Rimini-Firenze, Guaraldi Editore), in cui analizza il rapporto fra letteratura, cultura e politica. La letteratura è pervasa dalle “tecniche dell’inganno”, come la pubblicità e la comunicazione in genere. Il compito del critico letterario non è quello di assecondare l’inganno, al servizio dell’industria editoriale, ma di svelarlo. Bonura argomenta il suo impegno per una critica militante non evasiva e commerciale, ma capace di esprimere giudizi di valore e di assumersi l’impegno culturale e civile necessario per svolgere una funzione davvero utile. A ciò si attiene nella sua attività di giornalista culturale, critico letterario e recensore dei libri di narrativa per il quotidiano «Avvenire». Lo dimostra anche la raccolta postuma di suoi articoli contenuti nel volume L’industria del complimento. Libri, autori e idee di un critico militante (a cura e con prefazione di Alessandro Zaccuri; Milano, Edizioni Medusa, 2010).

Questo atteggiamento lo ha portato anche a scrivere delle stroncature e a farsi dei nemici, qualificandosi così fra i pochissimi giornalisti letterari che prestano più attenzione alla qualità del libro che ai nomi dell’autore e dell’editore.

Nota:

Per un panorama più ampio sulla biografia e sull’opera di Bonura rimando ai miei saggi: «Giuseppe Bonura: la personalità e l’opera dello scrittore», in «Nuovi Studi Fanesi», n. 29 (2017), pp. 201-253 (rivista annuale edita dalla Biblioteca Comunale Federiciana di Fano); «Giuseppe Bonura e la religione», in «Memoria Rerum», quaderno n. IX (2018), pp. 17-48 (rivista annuale edita dall’Archivio Storico Diocesano della Diocesi di Fano Fossombrone Cagli e Pergola).

Successivamente è stato edito un nuovo libro di Bonura: Microspie. Racconti e interviste immaginarie. Prefazione: Roberto Barbolini. Con una nota di Claudina Fumagalli. Milano, Edizioni Medusa, 2018, pp. 128. Raccoglie 14 scritti già editi su rivista nel 1983-1984.

 

didascalia foto: Angelo Giaccone (a sinistra) e Giuseppe Bonura, alle spalle un dipinto di Bonura (fotografia di Paolo Delfrati)

 

 

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